Ascolta & Leggi: Poesie di Salvatore Leone, musica di Ennio Morricone

Ogni poeta che si rispetti sa essere nudo, ma col pudore di un pasto, con la forza decisa di chi sa di essere da sempre e ogni giorno un bersaglio. La poesia di Salvatore Leone vive una propria identità, commovente e destabilizzante, ed è raro in questo tempo di scommesse e raccomandazioni. Eccovi tre suoi inediti, buona lettura.

visitate il suo blog:
https://ssalvatoreleone.wordpress.com/

*

Con te era diverso,
agli altri mordevo un capezzolo
per sentirli gridare.
Non sai come ci si sente, addosso
e ti butti nelle braccia di Manolo, Francisco e Mohamed
senza distinguere i volti, pareti umide e salate.
Sai, mi alitavano sul collo
bestie a me sconosciute, lingue larghe e rosse.
Non ricordo tutti questi nomi, ho ancora in testa
il suono della cerniera che si abbassa, lo scintillio
della fibbia sganciata di fretta.
Agli altri mordevo un capezzolo, perché mi ero convinto
di una cosa, per ovviare alla tua mancanza
avrei dovuto mangiare un uomo, intero, iniziando dal petto.
Mi sono perso tra le cosce di Saber
come un maledetto ebreo.
Sai che in Chueca mi hanno stordito, con la droga
dello stupro nel bicchiere, senza una ragione?
Come se ti appartenessi ancora.
Mi sono svegliato in un letto barocco
pieno di addolorate e santi.
Non sai come ci si sente.
Ecco com’è andata in tutti questi anni,
mordevo, mordevo al capezzolo
e all’addome.

*

Mi sono improvvisato poeta

E adesso? Provo ribrezzo
per chi non ha la tua portata di strada,
la curva addolcita del tuo viso.
E il sapore al gomito è piuttosto acre.
Non ti ho detto di Aymen, che mi copriva
con un lenzuolo, non appena il canto si alzava
dai minareti, rinnegandomi a dio
almeno quattro volte al giorno.
Pregava nudo, rivolto a Est, fronte nel marmo freddo,
si piegava a mezza luna con l’alba sulla schiena.

Mi sono abituato alla solitudine
con la rivolta dei gelsomini, a porte sprangate
ho buttato giù due righe. Il vino c’era.
Mi sei venuto in mente quando gli sciacalli di Ben Alì
terrorizzavano grandi e piccoli nelle case.
Allora ho buttato giù due righe,
mi sono improvvisato poeta
nelle carceri argentee della luna,
in qualche modo tu dovevi sopravvivere.

Sono rimasto infantile
perché andavo per strada nelle ore di coprifuoco,
non per incoscienza, ma per sbadataggine
dondolando le braccia, scanzonato
e sorridendo al mio cecchino.

Ho rovinato le mie ossa in un hammam
non temo i tramonti ormai adulti sul ventre
non temo l’imbrunire, mi sono improvvisato guardiano
ai primi luminari delle tue scapole.

*

Kate Moss

Vivienne Westwood
non parlava con nessuno, aggiustava un ricciolo
allo specchio, incurante del via vai intorno, tra piume
e gonnelloni scozzesi. Per l’autunno inverno 94/95
decise di sfilare a Milano, chiamarono noi studentelli di moda,
come staff di vestilisti. Porgere gli abiti alle modelle
che non si reggevano in piedi, e vigilare sugli outfits,
poteva essere una gavetta.
Quel giorno Kate Moss arrivò piccola e più strabica del solito,
avrei voluto uno sguardo così divaricato,
per spiegare tutto il mare, da Capo a Capo in una sola volta.
Vivienne Westwood mi fissava da lontano
sorridendo teneramente come una madre.
Poi abbassò gli occhi, si infilò in un pesante abito
settecentesco, per andare lì fuori ad accogliere ovazioni e rose.
Camminai lungo il Naviglio Grande di notte
per anni, ero sempre piegato alle ringhiere.
Alla mia giovane età dovevo comprendere
se carezzare un metro di seta
ti avrebbe reso giustizia.

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Salvatore Leone è nato in Sicilia nel 1971. Dal 2012 raccoglie i suoi testi inediti nel blog Il vizio dell’aria.
Ha pubblicato Nero Femmina (libri amArgine 2019), ed è presente in antologie tra sui “I poeti dell’ovulo” di Paolo Castronuovo.

Per chi volesse scaricare Nero Femmina:
Libri amArgine 8 Salvatore Leone

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