Provami di nuovo
E perché vorresti la mia anima
nel tuo letto?
Ho detto parole
oscene liquide, deliziose, dure, perché era così che ci piaceva.
Ma non ho mentito, goduto del piacere, della lussuria,
né ho omesso che l’anima è al di là, alla ricerca di quell’altro.
E ripeto: perché
vorresti la mia anima nel tuo letto?
Rallegrati nel ricordo del rapporto e del successo.
Oppure provami di nuovo. Fammi.
Hilda Hilst
*
Canzone
Non fidarti del tempo o dell’eternità,
che le nuvole mi tirano per gli abiti
che i venti mi trascinano contro il mio desiderio!
Sbrigati, amore, che domani muoio,
che domani muoio e non ti vedo!
Non tardare così lontano, in un luogo così segreto, la
madreperla del silenzio che il mare comprime,
il labbro, limite dell’istante assoluto!
Sbrigati, amore, che domani muoio,
che domani muoio e non posso sentirti!
Adesso mi sembra di riconoscere
l’anemone aperto sul tuo viso
e intorno alle mura il vento nemico …
Sbrigati, amore, che domani muoio,
che domani muoio e non te lo dico …
Cecília Meireles
*
Futuri amanti
Non affrettarti, no
Che niente è per ora
L’amore non ha fretta
Può aspettare in silenzio
In fondo a un armadio
Nel post-
millenni Millenni, millenni
Nell’aria
E chissà, allora
Rio sarà
Una città sommersa
I subacquei arriveranno
Esplora la tua casa La
tua stanza, le tue cose La
tua anima, deviazioni
Saggio invano Proverà
a decifrare
L’eco di vecchie parole
Frammenti di lettere, poesie
Bugie, ritratti
Tracce di strana civiltà
Non avere fretta, no
Che niente è per ora L’
amore sarà sempre amare gli
amanti del futuro, forse
Ci ameremo senza sapere
Con l’amore che una volta ho
lasciato per te
Chico Buarque
*
Teresa
La prima volta che ho visto Teresa
ho pensato che avesse delle gambe stupide,
ho anche pensato che la faccia somigliasse a una gamba
Quando ho rivisto Teresa
ho pensato che gli occhi fossero molto più vecchi del resto del corpo
(gli occhi sono nati e hanno passato dieci anni aspettando che il resto del corpo nascesse)
La terza volta non vidi più nulla.
I cieli si mischiarono con la terra
e lo spirito di Dio si mosse di nuovo sulla superficie delle acque.
Manuel Bandeira
*
L’amore ha mangiato il mio nome, la mia identità, il mio
ritratto. L’amore ha mangiato il mio certificato di età, la
mia genealogia, il mio indirizzo. L’amore ha mangiato i
miei biglietti da visita. L’amore è venuto e ha mangiato tutte
le carte in cui ho scritto il mio nome.
L’amore ha mangiato i miei vestiti, le mie sciarpe, le mie
camicie. L’amore ha mangiato metri e metri di
cravatte. L’amore ha mangiato la misura dei miei abiti, il
numero delle mie scarpe, la taglia dei miei
cappelli. L’amore ha mangiato la mia altezza, il mio peso, il
colore dei miei occhi e dei miei capelli.
L’amore ha mangiato le mie medicine, le mie prescrizioni
mediche, le mie diete. Ho mangiato le mie aspirine, le
mie onde corte, i miei raggi X. Mangiato il mio
test mentali, i miei esami delle urine.
L’amore ha mangiato tutti i miei libri di
poesie sullo scaffale. Ho mangiato le citazioni
in versi nei miei libri in prosa. Ha mangiato le parole del dizionario che
potevano essere messe insieme in versi.
Affamato, l’amore ha divorato gli strumenti per il mio uso:
pettine, rasoio, spazzole, forbicine per unghie, coltellino tascabile. Affamato
eppure, l’amore divorava l’uso dei
miei utensili: i miei bagni freddi, l’opera cantata
in bagno, lo scaldabagno morto
che sembrava una centrale elettrica.
L’amore ha mangiato la frutta messa in tavola. Beveva
l’acqua dei bicchieri e delle piccole stanze. Ha mangiato il pane
apposta nascosto. Ho bevuto le lacrime dagli occhi
che, nessuno sapeva, erano pieni d’acqua.
L’amore è tornato a mangiare i fogli dove
ho scritto di nuovo il mio nome senza pensarci.
L’amore ha rosicchiato la mia infanzia, con le dita macchiate di vernice, i
capelli che mi cadevano negli occhi, gli stivali non hanno mai brillato.
L’amore rosicchiava il ragazzo sfuggente, sempre negli angoli,
e che grattava i libri, mordeva la matita, camminava per strada
calciando sassi. Rosicchiava le conversazioni, dalla
stazione di servizio sulla piazza, con i cugini che sapevano tutto
di uccelli, di una donna, di marche di
automobili. L’amore ha mangiato il mio stato e la mia città. Prosciugò l’
acqua morta dalle mangrovie, abolì la marea. Mangiava le
mangrovie ricci e dalle foglie dure, mangiava il verde
acido dai canneti che ricoprono le colline
regolari, tagliate dalle barriere rosse, dal
trenino nero, dai camini. Mangiava l’odore della
canna tagliata e l’odore dell’aria di mare. Mangiava persino quelle cose di
cui disperavo di non sapere come parlare
in versi.
L’amore ha mangiato fino ai giorni non ancora annunciati nei
volantini. Ha mangiato i minuti anticipati del
mio orologio, gli anni che le linee sulla mia mano gli
garantivano. Ha mangiato il futuro grande atleta, il futuro
grande poeta. Ha mangiato i futuri viaggi intorno alla
terra, i futuri scaffali per la stanza.
L’amore ha mangiato la mia pace e la mia guerra. Il mio giorno e la
mia notte. Il mio inverno e la mia estate. Mangiato il mio
silenzio, il mio mal di testa, la mia paura della morte.
João Cabral de Melo Neto
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