Vieni con me non dico, dico portami.
Davanti a un Santo o a una Madonna chi
direbbe, «vieni, andiamo in Tunisia»?
Ma se l’immagine se ne andasse in giro
chi non vorrebbe accompagnarla, chi?
A trenta metri vedo molto bene,
vorrei seguirti sempre a trenta metri,
e a volte, presso un fiume o una fontana,
avvicinarmi a tanto irraggiamento,
se dormi, se riposi, se sorridi,
per poi la sera chiudermi nel buio
e accertare che splendo anche da solo
e che al di sopra del registratore
col nastro inciso con la tua voce
si addensano apparenze luminose
che in altri tempi si chiamavano angeli,
forme sospese, spiriti apprendisti
che da te vogliono in quei rari paraggi
imparare purezza e tenerezza,
ritegno, verità e altre arti angeliche
mai viste insieme, né in quei luoghi né altrove,
o come si asservisce una nazione
abbassando le palpebre semplicemente.
Preghiera al caso
«Possa tutto mutare e non mutarci;
che i nostri cambiamenti siano identici,
le nostre morti simultanee».
.
Dev’essere un dolore intollerabile
sentir cessare la felicità.
.
*
.
Tutto il giorno
Tutto il giorno ho rincorso dentro di me
una corrente chiara come le sere d’estate;
l’acqua è verde e trasparente,
tutto il giorno ti ho ricordato.
.
Vieni, siamo giovani, e qui passa l’amore
fluttuando tra la luna e il vento,
vieni, l’aria concede le tue labbra alle mie;
oh i salici, i salici pensosi!
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***
Juan Rodolfo Wilcock nacque a Buenos Aires il 17 aprile del 1919 – da padre inglese, Charles Leonard Wilcock, e da Aida Romegialli, argentina, di origine italiana e svizzera – e morì a Lubriano, in provincia di Viterbo, nel 1978. In Argentina, dove apparvero i suoi primi libri di versi (Libro de poemas y canciones, 1940; Ensayos de poesía lírica, 1945; ecc.), fu tra i collaboratori della rivista «Sur». In Italia dal 1958, traduttore dall’inglese e dallo spagnolo, collaboratore di riviste e quotidiani, pubblicò opere poetiche, teatrali e narrative, nutrite da una vena fantastica, ironica e grottesca, non esente, negli ultimi anni, da toni cupi e malinconici. Oltre alle raccolte poetiche (Luoghi comuni, 1961; La parola morte, 1968; ecc.), poi confluite nell’ed. post. delle Poesie (1980; 2a ed. ampl. 1993), vanno ricordati, in prosa, Fatti inquietanti (1960), il romanzo Il tempio etrusco (1973), Parsifal, i racconti del «Caos» (1974), L’ingegnere (1975), Il libro dei mostri (1978). Le opere teatrali, parzialmente riunite in Teatro in prosa e in versi (1962), sono poi apparse in L’abominevole donna delle nevi e altre commedie (1982). Nel 1975, chiese la cittadinanza italiana. Con decreto del Capo dello Stato, gli venne concessa post mortem il 4 aprile 1979.