Gioielli Rubati 262: Fausto Torre – Silvia Cavalieri – Rosario sarino Bocchino – Peter Genito – Claudio Zattera – Massimo Botturi – Monica Santi – Amina Narimi.

Knock out

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non pretendo che l’amore sia dirti le mie vergogne
o giustificare la cavità dell’abuso
e della malinconia, non è l’amore un porto
sicuro di parole
troppe e tanto grandi da non starci dentro neanche una volta
Oggi lo ha fatto il gelsomino giallo, come tu sai
anche i fiori parlano, rimbombano nelle orecchie infischiandosene
del sole implacabile e supremo
Ehi! guardami, dice il piccolo, vedi come sono complesso?
Chissà se sei capace di vedere i miei lobi ben separati
o se invece la mia luce compete con la tua mantenendoti a distanza
così che io viva d’amore
Io amo per bisogno e muoio di desiderio
finché la tua luce non avrà arso il mio vapore mettendomi fuori gioco
Però pago volentieri
la traccia che lascio per il tuo prossimo giro
Ti ho derubato dell’amore e del sesso. Tu, fisso, immobile
e sotto il tuo sguardo ho copulato, con tutti gli esseri intorno a me
con gli elementi e il vento e, morendo
insoddisfatto, sarò eterno

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di Fausto Torre, qui:

knock out

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Di prima mattina

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Non mi vedo più

da nessuna parte.

La casa buia

a limitare il caldo

e solitaria.

Tu che, come un gufo,

giri in giro muto

il capo incanutito,

io, come un sacco

svuotato,

la miseria dei miei seni…

E vado come posso

e sfioro i muri,

lieve il mio deambulare,

polveroso.

Intanto il giorno cresce

e cresce dentro me

un urlo che fa male.

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di Silvia Cavalieri, qui:

Di prima mattina

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Tu lasciami la sera

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Tu lasciami la sera
e qualcosa di ieri
io chiederò al silenzio
di placarmi il cielo;
incontrami se ti fa gioco,
io sarò desiderio muto
nel tempio, tuo, di domani.

E voi lasciatemi pieno di vento,
nell’affanno dei fiori,
tra i rami stanchi
e un po’ di tremore
che a trattenermi
sembrano vane le mani.

Per quella felicità
che si alza lunghissima
ciò che ancora mi vale
è una festa di foglie lontane:

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di Rosario “sarino” Bocchino, qui:

Tu lasciami la sera

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il nocciolo duro della mia maturità

sta anche

in queste sere di afa e zanzare

tutte da resistere e passare

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segregazione autoimposta

da tutti i possibili mari

mi consuma e mi frigge

questo eterno ritorno

di un presente spavaldo

.

ma non so nemmeno più

se lo vorrei ancora

un tempo condiviso con te

strappato a un destino

che di comune

ha soltanto il nome

.

tutto il resto è noia e illusione

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la mia predilezione

è una sdegnosa inappartenenza

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pertinenza spasmodica

che occlude il mio cuore

cupo e ampio

tangente una curva

fatta d’inutili ferragosti

di girarrosti domenicali

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lo spendi spandi

delle masse idiote

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mi scopro sempre più

impaziente e prossimo

a una insondabile estraneità

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di Peter Genito, qui:

https://www.facebook.com/peter.genito

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Se tornassi bambino

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Ormai non c’è nessuna faccia nota,

Il tempo indossa le foglie e la vita,

ricordo mio padre, aveva le dita

da campanaro, la corda ora è vuota

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non tiene né mani né note, immota,

come una terra senza via d’uscita.

Più su, appare l’immagine fiorita

d’un altarino, prega alma devota.

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Nei dì di festa era bello tornare

nel borgo ed ascoltare le campane,

gli uomini tiravano giù forte,

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ogni volta facevano volare

le braccia, e i bimbi in mezzo alle sottane

scappavano di gioia nella corte.

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Direi bugie se tornassi bambino,

in quantità, così ha fatto il destino.

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di Claudio Zattera, qui:

https://www.facebook.com/claudio.zattera.1

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San Lorenzo

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Sarà, ma io ci ho visto un bel niente.

Di tutte quelle stelle cadenti, solo una:

la donna che in un nano secondo

ha illuminato, e fatto due figlioli

come i comandamenti.

Ma il desiderio espresso

è rimasto sulla lingua,

come sto pelo di nostalgia perenne;

più dispettoso di un moscerino al frutto

o di un’ondina che gratta sui calcagni.

Di tante beghe romantiche, una sola

ci siam concessi insieme stasera sul divano:

un limoncello freddo, le cosce volte all’aria

che stranamente arriva a quest’ora.

Niente sesso. A volte c’è un silenzio

che pare ante creazione.

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di Massimo Botturi, qui:

SAN LORENZO

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Traduce poesie di Walt Whitman

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Si china su un quaderno,
su uno scoglio piatto,
su un accappatoio giallo
sotto l’ombra di qualche ramo che la cerca.

Sfiora le onde bianche
di solitudine leggera,
l’abbraccio
impercettibile
un occhio attento
ghermisce.
Una gamba magra abbronza
fino a formicolare e
un piede crivellato
di gocce nebulizzate.
Lacrime in un graffio di matita.
E singhiozzi, se manca poco all’estasi.
Intangibile
postura
sull’azzurro crespo.
Traduce poesie di Walt Whitman,
ma un angolo di pagina s’impenna alla brezza.
La mano si posa a zavorrare;
la pelle, tra le dita, bianca come il sale.

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di Monica Santi, qui:

Traduce poesie di Walt Whitman

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Madonna dell’acero

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È salita celeste
la Leggerissima
come una felce che sta per fiorire
sulla collina degli usignoli.

Alla Pasqua d’estate
ha toccato la roccia
del sonno sacro dell’acera antica

nel vuoto magnifico della sua tomba
il nostro respiro
dentro il salterio.

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di Amina Narimi, qui:

Madonna dell’acero

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