Klaus Miser – “Non è un paese per poeti” (Prufrock edizioni, 2015) “New Poetry”  con un Commento e una Intervista all’autore di Flavio Almerighi

L'Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internazionale

foto donna di strada
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[Klaus Miser da 15 anni persegue un processo di lontananza dall’ambiente poetico mainstream, con dispersione e non riproducibilità dei testi, spesso presentati con pseudonimi diversi. Le sue poesie si aggirano in circuiti inconsueti, dai bar agli spazi occupati, dalle strade statali ai queer party, dai festival femministi a quelli di teatro, dall’Historischer Kataster di Berlino alle radio indipendenti, dal Cocoricò di Riccione alle stazioni di servizio in Svizzera. Sopravvissuti alla decennale irreperibilità delle sue opere, e tutti con pseudonimi diversi: “Luogo Comune“ (con Dafne Boggeri in “Italian Landscapes”, Luca Sossella Editore), la collaborazione a “Jungle In“ (di Cristina Rizzo, con Alessandro Sciarroni), e il cortometraggio “eppure nessuno parlava” (con Silvia Calderoni). Solo nell’ultimo triennio sono apparsi stralci e recensioni su riviste di settore e le pubblicazioni Kill Your Poet (plaquette a tiratura limitata, Galleria Fragile Continuo  di Bologna) e pescarababylon 

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6 pensieri su “Klaus Miser – “Non è un paese per poeti” (Prufrock edizioni, 2015) “New Poetry”  con un Commento e una Intervista all’autore di Flavio Almerighi

  1. Lucio Mayoor Tosi
    5 marzo 2016 alle 9:11
    Puro talento. Gioca con le sacralità delle parole: non perle ma mangime per piccioni; in una piazza – piazza della tragedia – dove tutti sono felici e non lo sanno. Si legge in un boccone ma bisogna avere fame e lo stomaco di un elefante; perché incalza lo stile e incantano le immagini ( vive e a colori). Il segreto? Per me è in questa frase : Confondo la forma e il genere. Finalmente qualcuno che l’ha capito.

  2. giorgio linguaglossa
    5 marzo 2016 alle 10:59
    Scrive Klaus Miser:

    Mi ossessiona il rapporto tra segno e tempo. In questa assenza di soluzioni di continuità, riscrivo continuamente un un cut up circolare e programmatico. Programmatico perché per me la poesia è un atto politico e mi interessa una struttura che contenga in sé le variazioni della struttura … una sorta di mise en abyme, di fluttuazione prigoginiana, che dia vita ad una molteplicità di realizzazioni drammatiche diverse. Confondo la forma e il genere, personaggi e paesaggi, la flora vs il linguaggio eterocentrico, allucinazioni ed esondazioni, un cut up atemporale che evoca continuamente una alterità.

    A parte il fatto che non capisco cosa voglia dire “linguaggio eterocentrico”, devo dire che ho letto con interesse il flusso di coscienza di Klaus. Il suo zigzagare in veste prigoginiana tra forme e generi diversi, il suo mischiare continuamente le carte, apprezzo la sua libertà di muoversi tra il comprensibile e i ritagli di lacerti del quotidiano. Insomma, Miser lavora con i “frammenti”, e lavora bene, anzi, io direi che la sua poesia o para poesia regge meno quando ritorna sull’io… lì è poco credibile perché più prevedibile, dovrebbe andare, a mio avviso, con maggiore decisione nella direzione dei “frammenti”, dovrebbe tentare di più in direzione di una composizione di “frammenti”. Cmq è una lettura interessante perché ci libera per un momento dal linguaggio poetico convenzionale dove tutto è “controllato” secondo ciò che si ritiene venga condiviso dalla cerchia letteraria di appartenenza o di provenienza. Auguro a Miser di procedere con maggiore decisione verso una poesia di assemblaggi di frammenti, di rifiuti e di scarti.
    Un giorno una persona mi ha chiesto: che cosa sono i “frammenti”? E io le ho risposto: «sono ciò che resta delle cose nella memoria dopo che noi abbiamo dimenticato quelle cose».
    Devo dire che dopo questa affermazione, quella persona mi ha dato una occhiata esplicativa.

  3. ubaldoderobertis

    6 marzo 2016 alle 11:52

    La prima volta che lessi alcune poesie tratte da: “Non è un paese per poeti” mi soffermai, come adesso, sul versi di chiusura di: “ profezie in righe di 9”
    “io sono la vita sprecata di klaus
    fallire la mia vita
    è stata la mia ambizione più riuscita”
    E commentai su:
    http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/817-Klaus-Miser-Non-e-un-paese-per-poeti.html
    “Parafrasando Stephen King mi vien voglia di scrivere: “Miser non deve morire!” Di lei si sa poco, perché lascia parlare la sua poesia. Che trovo interessante. Colpiscono molte cose di questo fare poetico non ultimo quel tipo di assemblaggio di oggetti ed eventi osservati (catalogazione di indizi di vita, lo definisce G. Cerrai) con grande originalità e naturalezza, il senso di un disperato esserci. Comunicare per mezzo della poesia sapendo che OGGI, il nostro “Non è un paese per poeti” ci vuole coraggio. Sapere poi che Miser, la cui vita è per niente fallita, é una giovane voce dell’Adriatico, il mare dove sono nato, mi fa anche tenerezza. (U. de Robertis)
    Ora sono grato a Flavio Almerighi per aver presentato ai lettori de L’Ombra la poesia di Klaus Miser dimostrando, (l’Almerighi) che sa “aprirsi” alle voci, ai linguaggi poetici più disparati. Ogni atto artistico merita la dovuta attenzione soprattutto se ad emergere è la voce di un giovane poeta.
    Ubaldo de Robertis

  4. Salvatore Martino
    6 marzo 2016 alle 19:46
    “hai visto la paura o i frati neri o la sua foto fatta a pezzi?
    il giubileo non della regina ma di santo derek jarman
    protettore dei muri rossi
    degli addomi trafitti
    della carta da parati
    dei faggi al sole che vivono fuori dal cerchio del tempo
    fuori muoveva ancora un formicaio di vanità
    melodrammi privati
    scarpe perse per strade
    una settimana di ferie all’anno
    3 pappagalli alla sbarra
    estasi di tabacco e samovar di antichi riti
    2 cugine di nome Heather
    5 metri quadrati di soffitti pieni di preludi e di muffa
    i cieli del 27 aprile oltre i vetri
    36 anni nello scoraggiamento
    di un facchino biondo ai mercati generali
    4 lumache si infilano dentro la cornetta dello yorkshire”

    Non avrei voluto scrivere un commento sopra le poesie di questo poeta, per non sembrare ancora un fastidioso bastian contrario, un vecchio poeta pedante. Ma dopo aver letto la tua inserzione quasi apologetica citando persino uno stupendo film holliwoodiano mi sono costretto a stendere due parole non di commento critico ma di insoddisfazione nel leggere versi come quelli dell’elencazione sopra riprodotti, che francamente non mi “scucione un baffo” (volgarità). Sono tornato a rileggere le poesie inserite nel blog, sotto la spinta del tuo commento carissimo Ubaldo, ma francamente non riesco a cambiare ide ae non vedo il motivo di dannarmi più di tanto. La mia discutibile onestà intellettuale mi fa sempre dubitare di me stesso e delle mie considerazioni. Fino a un certo punto. Poi mi dico: perché leggere cose che non trovi interessanti. Allora mi è balenato alla mente che sarebbe bello proporre per gioco, una sorta di esperimento: chiedere a vari poeti, viventi ovviamente, di scrivere un paio di sonetti nella forma canonica dei quattordici endecasillabi, due quartine e due terzine, rigorosamente rimati nelle molteplici varietà, in un linguaggio non desueto. D’altra parte ne hanno scritti Baudelaire e Lorca, Saba, Sanguineti, Zanzotto, Auden , Borges i primi che affollano i miei ricordi. Non so quanti sarebbero capaci di rispondere all’appello. Ricordando che anche nella psudo-libertà del verso cosiddetto libero esistono delle regole che fanno sì che accada o non accada la poesia. Salvatore Martino

  5. Salvatore Martino
    6 marzo 2016 alle 20:02
    Rileggiamo insieme la proposta della sua poetica per bocca dello stesso poeta:
    “Mi ossessiona il rapporto tra segno e tempo. In questa assenza di soluzioni di continuità, riscrivo continuamente un un cut up circolare e programmatico. Programmatico perché per me la poesia è un atto politico e mi interessa una struttura che contenga in sé le variazioni della struttura … una sorta di mise en abyme, di fluttuazione prigoginiana, che dia vita ad una molteplicità di realizzazioni drammatiche diverse. Confondo la forma e il genere, personaggi e paesaggi, la flora vs il linguaggio eterocentrico, allucinazioni ed esondazioni, un cut up atemporale che evoca continuamente una alterità”.

    Mi sgomenta questo programmare con un cut up circolare, quasi che la poesia fosse un romanzo nel quale bisogna costruire un’architettura di storia dove inserire i personaggi. Mi sembra una posizione che tende a razionalizzare “il gioco” poetico, a castrare o a tagliare quel filo rosso che all’inconscio sale alla superficie coscienziale..l’abisso mi pare che lo veda solo lui, come la fluttuazione prigoginiana(?)…cosa sarebbe il linguaggio eterocentrico?… e questa alterità così ricercata intellettualisticamente? Ho l’impressione che se il Nostro facesse un bagno di semplicità e di umiltà raggiungerebbed ei risultati migliori, anche perché qua e là affiorano dei versi quasi folgoranti. Salvatore Martino

  6. ubaldo de Robertis
    6 marzo 2016 alle 20:31
    Caro Salvatore sei sicuro che sia il Nostro e non la Nostra? Qui nella bio si procede alle cieca.
    Molto chiare invece le tue argomentazioni avverse a questo modo di fare poesia. Non si può non tenerne conto. Con immutata stima. Ubaldo de Robertis

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