Paul Muldoon (1950) è un poeta britannico, insignito nel 2003 del Premio Pulitzer per la poesia.
Come la gran parte del vento accade là dove ci sono alberi, così la gran parte del mondo è centrato su noi stessi. Spesso là dove il vento ha radunato insieme gli alberi, un albero ne prenderà un altro tra le braccia e lo stringerà. I loro rami si strofinano insieme follemente tra loro, ma non è un vero fuoco: si stanno spezzando l’uno con l’altro. Spesso penso che dovrei essere come l’albero solitario, che non va da nessuna parte, perché il mio braccio non potrebbe e non vorrebbe rompere l’altrui. Eppure con le mie ossa rotte sento che il tempo sta per cambiare. (Traduzione di Luca Guerneri)
Di lei qualcosa è sul pensiero gru della neve. Dico i denti di Carmen, dopo tanto, non li ricordavo così, come se vivendo se li fosse morsi, mantenendola quelli. Parla, e il collo l’ingoia, mangiatore di fuoco con triste digestione che s’abbassa la neve al vento. Ora io, son le quattro ma è buio, mi scontro qui proprio con la Forza. E sembrerebbe il contrario. C’hanno sfilato la vita come soldi, Carmen, ce l’hanno tolta. Odore d’incenso, c’è l’aldilà, c’è aria in ebollizione, e vedo la fine. Quel risetto di chicchi che parla è fatica pura, oddio, fredda calda; nonsiamo più. Io ti credo, io rendo le tue frasi una stanza, bevo birra, ma per legge di gravità ormai dovremo entrambi cadere dal ramo.
Che piacere vederti: la mia vita mancava di qualcosa: ed ecco che vieni tu ad appagare il desiderio di te nel respiro di un’ora triste. È certo che ti volevo vedere perché ti saluto con parole troppo comuni per nascondere una bugia: “Che piacere vederti”.
Ricordi, Louis Amstrong, del giorno in cui viaggiammo per un corridoio di suoni che amavamo fino alla morte? Ricordi l’onomatopea che ci mise in salvo e che ci diede un trono d’un solo tratto? Sembra menzogna, Louis, amor mio, che abbiamo condiviso tante cose, tanti rami e un così grande numero di spume. Sembra impossibile, Louis, che tra di noi svaniscano le forme d’azzurro che ci accompagnavano; che tu, dardo, arma dell’angelo vivo, ti lanci dove nessuno potrà riconoscerti se non per l’allegria, per la tua voce duracina, per il tuo modo di prolungarti nella luce e crescere nell’aria. Non credo sia svanita dal mondo la folla di bagliori che ci seguiva. Bensì credo che si occultino nel tempo e che non saranno consumati. Tu, continuazione del fuoco, piedistallo della nube, desinenza di farfalla, oggi vai alla deriva tra farine e tra altre materie incorruttibili che ti serbano come serbano tutti i giusti, tutti gli incantevoli la cui bellezza viene da lungi e mai ci abbandona e si incendia tutti i giorni uguale all’altezza. Satchmo, amato fino alla musica, sognato fino all’arpeggio, le arpe di David e i loro bassi di rame ti stanno toccando l’anima e i clavicembali i capelli senza fine. Ricardo Wagner è in piedi, attendendoti in una terrazza di tetralogie, colma di fiori che muovono e crescono continuamente. Ricardo Wagner è in se stesso vedendo che giungi al dominio dei cristalli, armato della cornetta bastarda e del flicorno suonando un suono di vento, suonando come un tuono appena nato ed umido e perfetto. Ed io, ombra sonora del futuro, anch’io sono lì, sognata da due corpi trasparenti che si baciano e fondono e confondono nella grande terrazza di tetralogie, dove tutto è così chiaro come Dio e l’amore e gli alberi.
Sabato 10 luglio 1971, il giorno dopo la sua morte, Messico.
Mary Oliver (1935 – 2019) è stata una poetessa americana. Ha vinto il National Book Award e il Premio Pulitzer. Il New York Times l’ha descritta come “Di gran lunga, la poetessa di questo paese che ha venduto di più”.
L’hai visto, vagabondare, tutta notte, sul fiume scuro? L’hai visto la mattina, sollevarsi nell’aria argentata – Una profusione di fiori bianchi, un perfetto parapiglia di seta e lino come piegato nella schiavitù delle sue ali; un cumulo di neve, un mucchio di gigli, battendo l’aria con il suo becco nero? L’hai sentito, acuto e fischiettante una musica tetra e stridula – come la pioggia a dirotto sui rami – come una cascata passare come una lama giù per le sponde buie? E l’hai visto, infine, proprio sotto le nubi – Una croce bianca svolazzante attraversare il cielo, le sue zampe come foglie annerite, le sue ali come la luce allargata del fiume? E l’hai sentito, nel tuo cuore, quanto sia parte di ogni cosa? E hai infine compreso anche tu, lo scopo della bellezza? E hai cambiato la tua vita?
The Swan
Did you too see it, drifting, all night, on the black river? Did you see it in the morning, rising into the silvery air – An armful of white blossoms, A perfect commotion of silk and linen as it leaned into the bondage of its wings; a snowbank, a bank of lilies, Biting the air with its black beak? Did you hear it, fluting and whistling A shrill dark music – like the rain pelting the trees – like a waterfall Knifing down the black ledges? And did you see it, finally, just under the clouds – A white cross Streaming across the sky, its feet Like black leaves, its wings Like the stretching light of the river? And did you feel it, in your heart, how it pertained to everything? And have you too finally figured out what beauty is for? And have you changed your life?
Là dove domina l’elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell’isola è segnata da questa certezza; un’isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull’instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave; vi incombe il naufragio. Il sentimento insulare è un oscuro impulso verso l’estinzione. L’angoscia dello stare in un’isola, come modo di vivere, rivela l’impossibilità di sfuggirvi come sentimento primordiale. La volontà di sparire è l’essenza esoterica della Sicilia. Poiché ogni isolano non avrebbe voluto nascere, egli vive come chi non vorrebbe vivere. La storia gli passa accanto con i suoi odiosi rumori. Ma dietro il tumulto dell’apparenza si cela una quiete profonda. Vanità delle vanità è ogni storia! La presenza della catastrofe nell’anima siciliana si esprime nei suoi ideali vegetali, nel suo tedium storico, fattispecie nel Nirvana. La Sicilia esiste solo come fenomeno estetico. Solo nel momento felice dell’arte quest’isola è vera.
Ricordati Barbara Pioveva senza sosta quel giorno su Brest E tu camminavi sorridente Serena rapita grondante Sotto la pioggia Ricordati Barbara Come pioveva su Brest E io ti ho incontrata a rue de Siam Tu sorridevi Ed anch’io sorridevo Ricordati Barbara Tu che io non conoscevo Tu che non mi conoscevi Ricordati Ricordati quel giorno ad ogni costo Non lo dimenticare Un uomo s’era rifugiato sotto un portico E ha gridato il tuo nome Barbara E sei corsa verso di lui sotto la pioggia Grondante rapita rasserenata E ti sei gettata tra le sue braccia Ricordati questo Barbara E non mi rimproverare di darti del tu lo dico tu a tutti quelli che amo Anche se una sola volta li ho veduti Io dico tu a tutti quelli che si amano Anche se non li conosco Ricordati Barbara Non dimenticare Questa pioggia buona e felice sul tuo volto felice Su questa città felice Questa pioggia sul mare Sull’arsenale Sul battello d’Ouessant Oh Barbara Che coglionata la guerra Che ne è di te ora Sotto questa pioggia di ferro Di fuoco d’acciaio di sangue E l’uomo che ti stringeva tra le braccia Amorosamente è morto disperso o è ancora vivo Oh Barbara Piove senza sosta su Brest Come pioveva allora Ma non è più la stessa cosa e tutto è crollato E’ una pioggia di lutti terribili e desolata Non c’è nemmeno più la tempesta Di ferro d’acciaio e di sangue Soltanto di nuvole Che crepano come cani Come i cani che spariscono Sul filo dell’acqua a Brest E vanno ad imputridire lontano Lontano molto lontano da Brest Dove non vi è piú nulla.
Molti e molti anni or sono, in un regno vicino al mare, viveva una fanciulla che potete chiamare col nome di Annabel Lee; aveva quella fanciulla un solo pensiero: amare ed essere amata da me.
Io fanciullo, e lei fanciulla, in quel regno vicino al mare: ma ci amavamo d’amore ch’era altro che amore, io e la mia Annabel Lee; di tanto amore i serafini alati del cielo invidiavano lei e me.
E proprio per questo, molto molto tempo fa, in quel regno vicino al mare, uscì un gran vento da una nuvola e raggelò la mia bella Annabel Lee; e così giunsero i nobili suoi genitori e la portarono lontano da me, per chiuderla dentro una tomba in quel regno vicino al mare.
Gli angeli, molto meno felici di noi, in cielo, invidiavano lei e me: e fu proprio per questo (come sanno tutti in quel regno vicino al mare), che, di notte, un gran vento uscì dalle nubi, raggelò e uccise la mia Annabel Lee.
Ma il nostro amore era molto, molto più saldo dell’amore dei più vecchi di noi (e di molti di noi assai più saggi): né gli angeli, in cielo, lassù, né i demoni, là sotto, in fondo al mare mai potranno separare la mia anima dall’anima di Annabel Lee.
Mai, infatti, la luna risplende ch’io non sogni la bella Annabel Lee: né mai sorgono le stelle ch’io non veda splendere gli occhi della bella Annabel Lee, e così, per tutta la notte, giaccio a fianco del mio amore: il mio amore, la mia vita, la mia sposa, nella sua tomba, là vicino al mare, nel suo sepolcro, sulla sponda del mare.
Meira Delmar (1922 – 2009), con la sua vasta opera e la sua presenza discreta ma costante nel mondo intellettuale colombiano, ha senz’altro stimolato l’attenzione sulle molte donne venute dopo di lei e ha aperto gli occhi dei critici, uomini e donne.
Ti penso. La sera, non è più una sera; è il ricordo di quell’altra, azzurra, in cui amore si fece in noi come un giorno si fece luce nelle tenebre. Adesso quando la invoco credo di essere stata testimone di un miracolo.