Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna E i nostri amori Me lo devo ricordare La gioia veniva sempre dopo il dolore Venga la notte suoni l’ora I giorni se ne vanno io rimango Le mani nelle mani faccia a faccia restiamo Mentre sotto Il ponte delle nostre braccia passa L’onda stanca degli eterni sguardi Venga la notte suoni l’ora I giorni se ne vanno io rimango L’amore se ne va come L’amore se ne va Com’è lenta la vita E come la Speranza è violenta quest’acqua corrente Venga la notte suoni l’ora I giorni se ne vanno io rimango Passano i giorni e passano le settimane Né il tempo passato Né gli amori ritornano Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna Venga la notte suoni l’ora I giorni se ne vanno io rimango
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GUILLAUME APOLLINAIRE (1880-1918) E’ nato a Roma, figlio naturale di un ufficiale italiano, mai riconosciuto dal padre. Dopo una adolescenza nomade, seguendo la madre, arriva a Parigi . A Parigi frequenta il Bateau-Lavoir, un atelier di Montmartre luogo di incontro degli artisti dell’epoca, dove diventa amico di Matisse e conosce Derain, Vlaminck e le Douanier Rousseau. La pittrice Marie Laurencin, cui è legato, gli presenta Picasso. Nel 1913 difende i pittori cubisti in un saggio ”Les Peintres cubistes, méditations esthtétiques” in cui definisce il cubismo come accostamento di immagini, sensazioni, ricordi, senza rapporti logici, senza passaggio. Sempre nel 1913 aderisce al movimento Futurista, pubblicando il manifesto ”l’Anti-tradition futurist “ in cui rivendica di non imitare più gli antichi. Il suo interesse per Marinetti permane anche in piena guerra, con una punta di ironia “Voi Marinetti fondate una religione nuova basata sullo sviluppo dei mezzi di locomozione. Al posto di Dio voi dite Velocità…, ma c’è qualcosa di toccante in questo desiderio di nuovo che, nato in Francia, si esprime così violentemente in Italia” Ancora nel 1913 pubblica Alcools, raccolta di 80 poesie di ispirazione varia, senza ordine cronologico o tematico, composti a cominciare dal 1898. I critici lo hanno definito,nel panorama della letteratura francese del periodo, poeta curioso delle novità, poeta del mondo moderno, è lui l’autore della definizione “esprit nouveau” (1917) che caratterizza la vivacità del clima culturale, l’avanguardia francese, in cui Apollinaire opera. Nel 1914 si arruola volontario, manifestando la sua adesione ad un altro aspetto del futurismo, la foga per l’azione, la guerra. Ferito alla testa ,subisce la trapanazione del cranio ma continua a lavorare ai Calligrammes che comprendono anche poesie scritte in guerra. Nel 1916 pubblica un dramma surrealista “Le mammelle di Tiresia”. Nel 1918 appare” Calligrammes” una raccolta variegata con poesie disegno e poesie- conversazione. Muore qualche mese dopo colpito dalla ”spagnola”.
Pasquale Panella (1950) scrittore, poeta, paroliere, performer. «Mi dicono che sono orfico, ermetico, dadaista, ma storicamente non posso esserlo, se lo volessi dovrei andare a cena con Tzara. Mi chiamano così perché non hanno una parola di nuovo conio.» (Pasquale Panella, settembre 1994)
Tu che del trauma d’abbandono fai la tua sciccheria dolente, sappilo che l’abbandono inflitto da altri a te è quasi niente rispetto all’abbandono inflitto da te a te, dal te che, arreso, ama come l’ebete vagante innamorato sul campo di battaglia d’ogni giorno, sopravvissuto a tutti i propri corpi
Forse mi prende malinconia a letto se ripenso alla mia vita tempesta e di mattina alzandomi s’involano i vani sogni e davanti alla zuppa di latte annego i miei casi disperati.
Gli orli senza miele della tazza screpolata ai quali mi attacco a bere e nella gola scivola piano il mio dolore che s’abbandona alle immagini di ieri, quando tu c’eri.
Che peccato questa solitudine, questo scrivere versi ascoltando il peccatore cuore sempre nella stessa stanza
con due grandi finestre, un tavolo e un lettino di scapolo in miseria.
E se l’orecchio poso al rumore solo delle scale battute dal rimorso sento la tua discesa corrosa dalla speranza.
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Per sempre
Eri una emozione per vivere, per stridere durante il pasto serale. Era emozionante ricevere posta. La mattina in fretta le scale scendevo e lì trovavo le ingiurie tue alla mortale natalità.
Accuse per andare avanti. Ma dopo ti rendevi inquieta al delitto del non detto se non rispondevo per le rime. O rima che dirti non sapevo senza la fuga in avanti di terzine squilibrate sul dolce stil vecchio della Musa canterina a presiedere gli ozi di Sodoma. Dirti che ero pieno di sonno . se l’immortalità era un pio desiderio, lugubre sospiro ti avrebbe annoiato. Talvolta una stradina mi risucchia indenne dove non alberga strepito di auto; allora sciolto dai tuoi lunghi sensi camminare ti vedo per sempre.
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Dopo un anno, feroce giorno in cui un poeta è caduto
Pasolini sparito, ucciso come un cane bastardo in una sgomenta periferia di fango in un giorno di novembre mai più ritornerai in questa Italia del miracolo dove la tecnocrazia fra poco trionferà, il conformismo dei nuovi padroni, laidi nazisti atei o cattolici di un dissenso solo nominale che perseguita i diversi, distruggendo ogni anarchia, ogni bellezza ideale; vista mai dimenticata per te vivendoti accanto per tanti anni ormai poeta dimenticato, incrostato nelle tue menzogne radiose di poeta civile sublime compagno di notti in terra ferma parlando di libri e di amori.
Pasolini, ti hanno ucciso, non meritavi di morire né di vedere lo scempio del tuo corpo sacro mentre tutti i poeti ermetici neorealistici o avanguardisti coprono con le loro poesie di fetore l’umile Italia e il mondo, né sanno quando tutto prenderà la via dell’Eterno e le morte stagioni sapranno l’odore della tua scomparsa immedicabile ferita mi avanza per tutto il resto della vita abbandono il sentimento e la fortuna vuole che io sappia sopravvivere al lutto, ma è come fosse ancora il primo giorno della tua partenza da questo unico consesso dei vivi.
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Nella luce fioca mi lecco
Nella luce fioca mi lecco le ferite mortali e la mia anima foglia leggera va in cerca del Padrone Chi è nell’ombra solo sa quanto il giorno è mortale Bianca statua solare che non incanta più la mia morta anima.
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Andiamo a rubare
Andiamo a rubare: il furto si addice a un poeta! Nessuno veramente sa che cosa sia, intero, un poeta! Un grande sapiente o veggente? Magari! O soltanto un criminale! Un ladro di lumi, di vite clandestine vissute nel silenzio dei giorni tutti uguali.
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Dario Bellezza è nato a Roma nel 1944. Scoperto e lanciato da Pier Paolo Pasolini, si è imposto all’attenzione del grande pubblico con l’Innocenza, romanzo breve presentato da Alberto Moravia. Ha pubblicato, di poesia: Invettive e licenze (Garzanti, 1971), Morte segreta (Garzanti, 1976, Premio Viareggio), Morte di Pasolini (Mondadori, 1981), Libro d’amore (Guanda, 1982), Io 1975-1982 (Mondadori, 1983), Serpenta (Mondadori, 1987), Libro di poesia (Garzanti, 1990), L’avversario (Mondadori, 1994), Proclama sul fascino (Mondadori, 1996), Poesie (1971-1996), Milano, Oscar Mondadori, 2002). Di narrativa: L’innocenza (De Donato, 1970), Lettere da Sodomia (Garzanti, 1972), Il carnefice (Garzanti, 1973), Angelo (Garzanti, 1979), Storia di Nino (Mondadori, 1982), Turbamento (Mondadori, 1984), L’amore felice (Rusconi, 1986), Nozze col diavolo(Marsilio, 1995). Di teatro: Salomè (Libria, 1991), Testamento di sangue (Garzanti, 1992). Di saggistica: Il poeta assassinato. Una riflessione, un’ipotesi, una sfida sulla morte di Pier Paolo Pasolini (Marsilio, 1996). Per Garzanti ha tradotto l’intera opera di Arthur Rimbaud, suo poeta di riferimento soprattutto negli anni della giovinezza. Malato di AIDS, è morto nel 1996 a Roma.
Adoro il tuo vello che è il triangolo perfetto
Della Divinità
lo sono il taglialegna dell’unica foresta vergine
Oh mio Eldorado
lo sono il solo pesce del tuo oceano voluttuoso
Tu la mia bella sirena
lo sono l’alpinista delle tue montagne nevose
Oh mia bianchissima alpe
lo sono l’arciere divino della tua bocca così bella
Oh mia carissima faretra
E io sono il bardotto dei tuoi notturni capelli
Oh bel naviglio sul canale dei miei baci
E i gigli delle tue braccia mi chiamano con segni
Oh mio giardino d’estate
Le frutta del tuo petto maturano per me la loro dolcezza
Oh mio frutteto profumato
E io t’innalzo oh Madeleine oh mia bellezza sul mondo
Come la torcia di tutta luce
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Addio
L ‘amore è libero non è sottomesso mai al destino
Oh Lou il mio è anche più forte della morte
Un cuore il mio ti segue nel tuo viaggio al Nord
Lettere Invia anche lettere tesoro mio
Oh fa piacere riceverne nella nostra artiglieria
Una al giorno almeno una almeno te ne prego
Lentamente ecco è scesa la nera notte
Ora si rientra dopo aver comprato del tabacco
Una due tre A te la mia vita A te il mio sangue
La notte cuore mio la notte è così dolce e bionda
Oh Lou il cielo oggi è puro come un’onda
Un cuore il mio tI segue in capo al mondo
L’ora è giunta Addio l’ora della tua partenza
Ora si rientra Le nove meno un quarto
Una due tre Addio da Nimes nel Gard
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Se morissi laggiù sul fronte dell’armata
Se morissi laggiù sul fronte dell’armata,
Tu piangeresti un giorno o mia adorata Lou,
E dopo il mio ricordo cadrebbe come muore
Una granata esplosa sul fronte dell’armata,
Una granata che sembra una mimosa in fiore.
E poi questo ricordo scoppiato nello spazio
Con il mio sangue il mondo ricoprirebbe intero:
Mare, montagne, valli, e la stella che passa,
I soli che maturano stupendi nello spazio
come quei frutti d’oro attorno a Baratier.
Appassito ricordo, vivente in ogni cosa,
Arrosserei le punte del tuo bel seno rosa
Bacerei la tua bocca e; i capelli fiammanti.
E non invecchieresti, ogni tua bella cosa
Rifiorirebbe intatta negli incontri galanti.
Il fatale zampillo del mio sangue sul mondo
Farebbe dono al sole di più luce accecante
Di più colore aliiore, di più impeto all’onda,
Un amore incredibile scenderebbe sul mondo,
Nel tuo corpo dischiuso trionferà l’amante…
Lou, se muoio laggiù, ricordo che s’oblia,
Qualche volta ricordati gli istanti di follia,
Di giovinezza e amore e d’inesausto ardore,
Il mio sangue è la fonte ardente della gioia!
E sii la più felice perché sei la più bella,
O mio unico amore e mia grande follia!
La luce langue
Ora presento
Un lungo, lungo destino di sangue.
*
La mosca
Le nostre mosche sanno canzoni
Che hanno appreso in Norvegia
Dalle mosche ganiche
Che sono le divinità della neve.
GUILLAUME APOLLINAIRE (1880-1918) E’nato a Roma, figlio naturale di un ufficiale italiano, mai
riconosciuto dal padre. Dopo una adolescenza nomade, seguendo la madre, arriva a Parigi .
A Parigi frequenta il Bateau-Lavoir, un atelier di Montmartre luogo di incontro degli artisti dell’epoca, dove diventa amico di Matisse e conosce Derain, Vlaminck e le Douanier Rousseau. La pittrice Marie Laurencin, cui è legato, gli presenta Picasso. Nel 1913 difende i pittori cubisti in un saggio ”Les Peintres cubistes, méditations esthtétiques” in cui definisce il cubismo come accostamento di immagini, sensazioni, ricordi, senza rapporti
logici, senza passaggio.
Sempre nel 1913 aderisce al movimento Futurista, pubblicando il manifesto ”l’Anti-tradition futurist “ in cui rivendica di non imitare più gli antichi. Il suo interesse per Marinetti permane anche in piena guerra, con una punta di ironia “Voi Marinetti fondate una religione nuova basata sullo sviluppo dei mezzi di locomozione. Al posto di Dio voi dite Velocità…, ma c’è qualcosa di toccante in questo desiderio di nuovo che, nato in Francia, si
esprime così violentemente in Italia”
Ancora nel 1913 pubblica Alcools, raccolta di 80 poesie di ispirazione varia, senza ordine cronologico o tematico, composti a cominciare dal 1898.
I critici lo hanno definito,nel panorama della letteratura francese del periodo, poeta curioso delle novità, poeta del mondo moderno, è lui l’autore della definizione “esprit nouveau” (1917) che caratterizza la vivacità del clima culturale, l’avanguardia francese, in cui Apollinaire opera.
Nel 1914 si arruola volontario, manifestando la sua adesione ad un altro aspetto del futurismo, la foga per l’azione, la guerra.
Ferito alla testa ,subisce la trapanazione del cranio ma continua a lavorare ai Calligrammes che comprendono anche poesie scritte in guerra.
Nel 1916 pubblica un dramma surrealista “Le mammelle di Tiresia”.
Nel 1918 appare” Calligrammes” una raccolta variegata con poesie disegno e poesie- conversazione.
Muore qualche mese dopo ,colpito dalla” spagnola”.
Fantasticare sulla propria morte
È l’unico modo per sentirsi vivi
Volare nell’aldilà, scavando la fossa al presente
Coltivando le terre di mezzo
Del proprio corpo
E dei residui d’identità
Sperando che un seme indistinto di sé
Rinasca altrove gemmando
La luce nell’anima
E sui fogli bianchi dell’umanità.
II
Ci sono coloro che scrivono
Senza avere nemmeno iniziato a pensare
Senza aver vissute tre vite
E senza essere morti dentro.
Scrivere è essere sopravvissuti a sé stessi
Scrivere è restare vivi e rinascere
Ma prima bisogna aver vissuto
La mattanza di un amore
La mattanza della vita e della morte.
Alla fine l’ultima cosa che desideri
È scrivere, dipingere ed essere amato
E goderti gli ultimi spasmi
Del corpo che reclama la vita.
III
Ho seminato coriandoli d’infinito
Sul corpo morente della Società
Ho sognato, ho lottato, ho vissuto
Mentre il mio corpo zampillava solitudine
E la mia Anima era una pozza d’inchiostro.
Murato dal silenzio
Qua e là si aprivano crepe
Dune di desiderio scolpite nella notte
E le lacrime erano calde gocce di scrittura
Che bussavano all’alba
Come un nuovo risveglio
Un coagulo di vita
Da sciogliere tra i solchi di dolore.
IV
Le parole sono lingue di fuoco
Che incendiano la coscienza
Vortici infiammati di futuro
Che fanno della nostra Anima
Un deserto di cenere e inchiostro.
Amiamo le parole che recano
Le colature del silenzio
La Grazia di un destino.
Quelle parole che sanguinano
Indizi e contaminazioni
Quelle parole che aprono varchi
Sui cuori abusati e infranti dell’umanità.
Da quello che fu l’ultimo album di Battisti, Hegel del 1994, parole e musica d’eccellenza. Considero Panella, da sempre, uno dei miei padri.
LA BELLEZZA RIUNITA
Mi apparisti vestita
e più carpita da me
più che tu non lo fossi.
Misurarti la vita
mi pare proprio che sia
tutto quello che posso.
La Bellezza Riunita
ha più difesa di sé;
mi dicesti “Sospira”.
Come chi si ritrae con il dito chiedendo silenzio;
la totale pienezza di te
dal mio braccio destro si disincagliava e calava nell’ansa
del sinistro, mista alle piegature, e declinava.
Di te, in te stessa, l’attività assoluta
era una lotta contro la natura
che è dimessa al vento,
succube alla furia.
Ma tu non soccombevi,
eri impennata
sulla tua forma finita e creata.
E la tua finitezza superavi
sapendo, di te stessa,
non solo di convessa, di concava, di cava,
umana, pelle umana. E la realtà finiva
e il vero cominciava. Certo imbruniva,
ma imbruniva fuori.
All’interno i colori
erano luci spente,
umiliate dalla tua bocca ponente.
Dopo un po’ si vedeva
soltanto quello che può
perdonare la vista.
E scoprire le gambe,
fu qui la tua miglioria,
per distinguere meglio.
Ogni tuo gesto è compreso
in tutto quello che sa
di te stessa quel gesto.