dalla Premessa
Aforismi di luce è una raccolta di appunti in forma aforistica risalenti al 1976-78, annotati su miriadi di foglietti insieme a diversi disegni che non è stato possibile riprodurre. È quindi un testo lontanissimo, precedente L’anima sinfonica, che in un certo senso costituisce il primo precipitato dicibile di quell’esperienza dell’indicibile. La coeva sequenza finale di versi, Bianche schiume del molo, è una sublimazione poetica, oasi necessaria tra la densa, originaria trama di idee e la successiva sintesi in una nuova forma espressiva.
Le fonti, seppur molteplici, sono chiare: il libro della Genesi, il Vangelo di Giovanni, l’Apocalisse, i presocratici, Platone, Plotino, Dionigi Aeropagita, Agostino, Meister Eckhart, Cusano, Pascal, Spinoza, Schelling, Novalis, Rimbaud, Nietzsche, Kierkegaard, Schopenhauer, i mistici cristiani, qualche teologo del Novecento, Bergson. L’ispirazione più forte mi venne da L’evoluzione creatrice di Bergson e dai Frammenti di Novalis, autentici timoni nella turbinosa navigazione metafisica.
La speculazione nasce da parole come sorgenti molteplici di senso, progressivamente svelate: io, Dio, Unico, movimento unico, Opera, Disegno, luce, tenebra sono nuclei linguistici che riverberano potenza e generano le onde guida del pensiero. Lo stile è vertiginoso. Dalle sequenze come dai singoli frammenti emana una luce di scavo profondissimo, senza attenzione alla forma, allo stile o alla struttura, all’insegna di una ricerca assoluta, senza interlocutori, in cui avevo attinto una dimensione spirituale unica, una sorta di fascio bruciante di energia interiore. Parole e idee sembrano tratte da un flusso magmatico, senza curarsi di chi potrebbe leggerle. Si intravede e intrasente un contatto, la vicinanza di un fondo – o di un apice – sempre imminente.
da Una metafisica della Figura
di Davide Inchierchia

1. All’Origine
La genesi di Aforismi di luce, nuova opera poetico-filosofica di Claudio Borghi, risale ad anni molto lontani. Concepita e vergata a più riprese, senza alcun iniziale intento sistematico, quando l’autore era studente liceale, è stata poi perfezionata e in parte rivista – più nella struttura linguistico-espositiva che non nella sostanza – in anni successivi fino ad oggi, quando il maturare di interessi scientifici e di ricerche specificamente fisico-cosmologiche non avrebbero impedito all’Autore di dedicarsi ancora alla filosofia e alla poesia (come dimostrano le sillogi in prosa poetica di recente pubblicazione, rispetto alle quali gli Aforismi possono considerarsi una prima prova embrionale).
Per quanto il frammento, con la sua caratteristica a-sistematicità, costituisca senz’altro la cifra formale dell’opera, non si tratta di un testo ‘frammentario’. Nonostante il carattere visionario, a tratti rapsodico, di un flusso interiore a prima vista di difficile decifrazione, è possibile coglierne – quasi musicalmente, ad una lettura lenta – la pulsante trama unitaria. Come accade negli illustri esempi letterari o filosofici di pensiero aforistico cui l’Autore si volge più o meno direttamente (Pascal, Kierkegaard, Schopenhauer, ma soprattutto Novalis) negli Aforismi ricerca conoscitiva, riflessione speculativa e meditazione spirituale si fondono con sapienza cercando di attingere l’unico Centro: la Cosa ultima, l’Origine assoluta nella quale materia e coscienza, immanenza e trascendenza – anziché ipostasi separabili – entrano in risonanza quali emanazioni sostanziali di una viva Essenza che di sé permea ogni creatura ed ogni natura.
La ricerca dell’Originario che Borghi intraprende qui per la prima volta, attraverso un itinerario dell’anima entro un “corpo di luce”, che si rivela ora enigmatico e sfuggente ora chiarissimo, concede comunque ben poco alle pulsioni irrazionalistiche dell’intimismo. In effetti, a differenza di quanto ci stanno da tempo raccontando tanta (presunta) nuova poetica e tanta (sedicente) post-filosofia odierne, in queste pagine assistiamo ad una speculazione ontologica che non si chiude mai in rigido ‘ontologismo’, ad uno scavo nello spirito che non diviene mai sterile ‘spiritualismo’: sicché anche nelle sequenze in cui palpabile si fa la vertigine mistica, il pensiero – anziché rifugiarsi nel comodo abbraccio del ‘misticismo’ – non abdica mai a se stesso e alla necessità, certo sofferta, dell’intellegibile.
2. Metafisica della Figura e Singolarità
Elemento decisivo, per molti versi il nucleo teoretico generativo degli Aforismi, è il costante riferimento, non certo estrinseco, alla filosofia platonica e neoplatonica dell’“analogia Entis” che, da Plotino a Cusano, attraverso Agostino e Meister Eckhart, nutre l’intera speculazione romantico-moderna e senza la quale, secondo l’autorevole giudizio di Marco Vannini, pressoché nulla sarebbe davvero comprensibile del sapere filosofico contemporaneo (cfr. M. Vannini, «Introduzione a M. Eckhart, Sermoni tedeschi», Adelphi 1985).
La disamina svolta sin qui non può in effetti esimersi da tutta una serie di sequenze – che compongono le parti centrale e finale del testo. Sono i momenti, di intenso impatto, in cui l’Autore si cimenta in una delle imprese più ardue e complesse, che più mettono alla prova la nostra razionalità di pensanti del XXI° secolo: il retrocedere, l’eckhartiano “distacco” dal Sé dell’Io soggettivo – l’Io psicologico ma finanche l’Io esistenziale – e il suo ‘aprirsi’ in se stesso alla vibrante imminenza, alla prossimità estrema di una Identità ‘altra’.
Solamente un malinteso ‘criticismo’, alimentato da un altrettanto frainteso ‘realismo’ – oggi tipico di rinomate ma alquanto discutibili operazioni intellettualistiche decostruttive – potrebbe a questo punto misinterpretare, in direzione ancora una volta mistico-esoterica, quell’Indicibile che gli Aforismi non temono invece di ‘in-dicare’ con rigore: è esso il Concreto, l’Uno-Unico che è viva Presenza, e del quale l’Evento cristiano – l’incarnarsi del Verbo – diviene Figura escatologica essenziale. A questa altezza, la metafisica dell’estetico wittgensteiniano si trova come ‘trasfigurata’ in virtù dell’“alta fantasia” neoplatonica che medita sulla interiorità del Principio: l’infinito Essere, visibile in ogni sembianza del finito, si mostra nella stessa sapienza trinitaria dello Spirito in quanto eterno presentarsi destinale del Padre “nel” Figlio. (Rilevante sarebbe il confronto, su questi temi, con la dialettica ermeneutica che da molti decenni Massimo Cacciari sta intrattenendo col neoplatonismo e il pensiero teologico cristiano: si vedano ad esempio le notevoli riflessioni sulla “età del Figlio” e sulla “estetica dell’Icona” contenute in Generare Dio, Il Mulino 2017).
L’”itinerarium mentis”, che in questa sua opera lontanissima Borghi fa cominciare dalla ricerca ‘universale’ del Fondamento, si chiude pertanto in circolo riannettendosi all’Inizio ‘assoluto’, all’ “È” che eternamente si fa a noi Presente. Ciò che poteva malauguratamente sembrare l’ennesimo ritorno ‘hegeliano’ ad un’ambiziosa, quanto improbabile, metafisica della Totalità – in cui il Soggetto si illude di plasmare l’Oggetto allo ‘specchio’ della propria insaziabile ed egoica volontà di potenza – ha dato voce al contrario, passo dopo passo, frammento dopo frammento, alla irriducibile Singolarità dell’essente.
Ecco perché gli Aforismi di luce sono capaci di delineare, con coerenza (in senso controcorrente rispetto alla cultura della “post-verità”, oggi dominante, con tutti i rischi connessi ad un sempre più inquietante “transumanesimo”), ancora una metafisica, che trova il suo specifico come ontologia dell’alterità. Laddove infatti autentica trascendenza non si realizza se non nel ‘trascendersi’ del Pensante al di qua (non al di là!) della sua propria immanenza, diventa plausibile e nuovamente praticabile un excursus poetico, ovvero speculativo e contemplativo, entro la “differenza ontologica”, dove l’Altro – anziché ‘nient’altro’ che la copia di un Medesimo – è Novitas assoluta.
L’altro essente è, in sé e per sé, sempre un “alter-ego”: non solo ‘parte’ di un Tutto, mera ripetizione di un Archetipo, ma un “in-dividuo” che ‘partecipa’ della infinita finitudine, della irripetibile natura ‘singolare’ di ciascun altro Singolo. Ad immagine e somiglianza ‘rammemorante’ del “Verbum agentis”, l’immemorabile poiesi creaturale che inerisce alla originaria e fontale Parola: l’iniziale «Fiat Lux», che nessuna Ragione o nessuna Relazione ‘logica’ potrebbe mai determinare ‘scientificamente’, in quanto è esso la “Ratio” fondante la possibilità ontologica della nostra – e di ogni ‘altra’ – esistenza, tale solo “alla luce” dell’Essere.
Nelle parole ‘alte’ di una bella pagina recente di Emanuele Severino, «il discorso che abbiamo fatto non consiste nel dire (…): c’è soltanto l’apparire finito. Non c’è soltanto l’apparire finito, secondo quanto si è voluto ricordare, che è finito in quanto accoglie il sopraggiungere della terra, ma (…) l’apparire finito, la costellazione dell’apparire finito, implica necessariamente l’apparire infinito». Ossia «quell’apparire che non solo è eterno, ma non è nemmeno il luogo in cui qualcosa va sopraggiungendo: giacché è già tutto presente» (E. Severino, Lezioni milanesi. Il nichilismo e la terra (2015-2016), Mimesis 2018, pp. 192-193).
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Di seguito due brevi estratti, uno dalla sezione omonima Aforismi di luce, l’altro dalla sezione conclusiva in versi, Bianche schiume del molo.
da Aforismi di luce
Anima spaziale
Il mondo esteriore è uno stadio dello sviluppo dell’anima: si configura in forme o momenti che, non essendo conoscibili nel loro sviluppo intero, risultano inafferrabili.
Ogni essere è un momento creato: fondendosi con gli altri può generare forme diversissime, che si staccano dal corpo della luce e ad essa ritornano, nella dinamica incessante del tempo.
Ogni trasformazione nasce dalla luce e crea la luce.
Ogni stadio è luce cosciente in simbiosi con la fonte della vita – ne assume la potenza e la traduce in atto nell’esperienza.
L’anima, in apparenza un mare di profondità (inconscio) e superficie (coscienza), è in realtà una sostanza puramente spaziale, immersa nella corrente del tempo e diffusa tra cose e forme.
Quel che vede e, più in generale, percepisce è la sua dimensione esteriore.
Il trascendente sta oltre il cielo e questo – l’azzurro – è il punto di contatto.
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Sviluppi
La luce è stasi internamente dinamica, nel cui cuore tutto scorre.
Il corpo luminoso contiene, in potenza, il tempo e la materia.
La dimensione sensibile del mondo è lo stadio vivente dello sviluppo della materia e del tempo, che nel centro umano si accende nel fuoco dell’idea.
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Genesi pensante
La vista è intelligenza – capisce a guizzi, a parti, a totalità.
L’arte è uno stelo suscitato dalla luce divina.
La musica nasce da un momento e lo sviluppa in una successione pensante. Il tempo musicale contiene oggetti spaziali: nucleo del tempo sono gli elementi materiali.
La pittura permette alla materia di attingere, in apice o in imo, la propria essenza.
Il durare dei momenti pittorici origina la musica.
La musica esprime lo sviluppo della materia, silenzioso e atemporale.
Il corpo luminoso scaturisce in una rapsodia di successive nascite, come un prato celeste di sorgenti stellari.
Il mondo è il frutto di una genesi pensante.
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La notte
La notte, fine del corpo luminoso, è un’immersione lenta nel non essere.
Il sonno, nel navigare profondo di un’identità diffusa, riflette e contiene le tenebre di una morte vivente in attesa dell’inizio del giorno, della rinnovata creazione del corpo di luce.
Il sole, fonte pensante del corpo luminoso, crea i suoi stati pensanti. Lo stesso vale per l’uomo: la coscienza crea l’incoscienza, gli stati percepiti come interiori.
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da Bianche schiume del molo
Bianche schiume del molo
sullo scorrere lampeggiante dell’onda
come cani sciolti e chiari
onde sugli scogli
come magiche curve della luce
inventano bagliori
la foresta trema nella notte
in un argenteo frusciare lontano di mari.
*
Un’orbita improvvisa compare
tra i flutti robusti dell’essere
distratto, stupito il nulla
frusciante di cieli di colpo
freme, lascia fiorire il suo centro.
*
In alto –
il ghiacciaio del Verbo.
Il mondo è il mare.
*
In Uno lucido,
a coscienza spiegata, distesa,
penso, in Uno profondo,
a coscienza chiara, sola
mente nel tempo vivente
persa nell’idea diffusa,
nel sangue lucido,
nell’ora del tempo
in sé chiusa, occhio di pulcino
sfavillante e muto
nell’ora dell’estasi in acuto,
nell’inatteso accendersi
della potenza l’istante splende
di lucida eternità.
*
Il giorno si apre
come rosa viva –
la brace degli attimi
riscalda l’aria,
la maestà dolce,
silenziosa dell’onda
del tempo colma la visione
di fiamma o di neve,
rosa il viso, le mani,
poco cuore, quasi nulla,
ma non ancora morte –
unica statua l’alta luce.
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