Ascolti amArgine: Colours – Donovan (1965)

Grazie a tutti coloro che seguono amArgine, quest’anno è stato un successo: 93.000 accessi e 27.000 visitatori da tutto il mondo. Auguro a tutti, sull’armonia leggera e senza tempo di questa bellissima canzone, un grande 2020. Ciao.

COLORI

Giallo è il colore dei capelli del mio vero amore
Al mattino quando ci alziamo
Questo è il momento
Adoro il meglio

Verde è il colore del mais scintillante
Al mattino quando ci alziamo
Questo è il momento
Adoro il meglio

Azzurro è il colore del cielo
Al mattino quando ci alziamo
Questo è il momento
Adoro il meglio

Dolcezza è la sensazione che provo
Quando la vedo,
Questo è il momento
Adoro il meglio

Libertà è una parola che uso raramente
Senza pensare
Del tempo
In cui sono stato amato

TESTO ORIGINALE

Yellow is the colour of my true love’s hair
In the morning when we rise
In the morning when we rise
That’s the time, that’s the time
I love the best

Green is the colour of the sparkling corn
In the morning when we rise
In the morning when we rise
That’s the time, that’s the time
I love the best

Blue is the colour of the sky
In the morning when we rise
In the morning when we rise
That’s the time, that’s the time
I love the best

Mellow is the feeling that I get
When I see her, uh huh
When I see her, uh huh
That’s the time, that’s the time
I love the best

Freedom is a word I rarely use
Without thinkin’, uh huh
Without thinkin’, uh huh
Of the time, of the time
When I’ve been loved

Mancini

lo stesso mondo infrequentabile
per poi ritrarsi quando il naso
non sa più distinguere gli odori

ne ho incontrati di tutte le risme;
salvo soltanto chi usa la sinistra.
la destra non è la mano del cuore

scambisti di letture, incompresi,
madonnine, incomprensibili, acrobati,
puttane, sosia di

avessi un caminetto potrei decorarlo
con tante teste dai begli occhi di vetro

i peggiori non separano mai l’arte
dall’amicizia interessata, è drammatico
che all’inculata non corrisponda paga

nessuno è migliore di quelli già morti,
hanno detto tutto non possono più mentire:
io sono di gennaio e so di ghiaccio

se non scuoce a fiamma lenta
è tanto tenero il dimenticatoio

Claudio Borghi : Aforismi di Luce (estratti) 1976 – 1978, con una nota di Davide Inchierchia

dalla Premessa

Aforismi di luce è una raccolta di appunti in forma aforistica risalenti al 1976-78, annotati su miriadi di foglietti insieme a diversi disegni che non è stato possibile riprodurre. È quindi un testo lontanissimo, precedente L’anima sinfonica, che in un certo senso costituisce il primo precipitato dicibile di quell’esperienza dell’indicibile. La coeva sequenza finale di versi, Bianche schiume del molo, è una sublimazione poetica, oasi necessaria tra la densa, originaria trama di idee e la successiva sintesi in una nuova forma espressiva.

Le fonti, seppur molteplici, sono chiare: il libro della Genesi, il Vangelo di Giovanni, l’Apocalisse, i presocratici, Platone, Plotino, Dionigi Aeropagita, Agostino, Meister Eckhart, Cusano, Pascal, Spinoza, Schelling, Novalis, Rimbaud, Nietzsche, Kierkegaard, Schopenhauer, i mistici cristiani, qualche teologo del Novecento, Bergson. L’ispirazione più forte mi venne da L’evoluzione creatrice di Bergson e dai Frammenti di Novalis, autentici timoni nella turbinosa navigazione metafisica.

La speculazione nasce da parole come sorgenti molteplici di senso, progressivamente svelate: io, Dio, Unico, movimento unico, Opera, Disegno, luce, tenebra sono nuclei linguistici che riverberano potenza e generano le onde guida del pensiero. Lo stile è vertiginoso. Dalle sequenze come dai singoli frammenti emana una luce di scavo profondissimo, senza attenzione alla forma, allo stile o alla struttura, all’insegna di una ricerca assoluta, senza interlocutori, in cui avevo attinto una dimensione spirituale unica, una sorta di fascio bruciante di energia interiore. Parole e idee sembrano tratte da un flusso magmatico, senza curarsi di chi potrebbe leggerle. Si intravede e intrasente un contatto, la vicinanza di un fondo – o di un apice – sempre imminente.

da Una metafisica della Figura
di Davide Inchierchia


1. All’Origine
La genesi di Aforismi di luce, nuova opera poetico-filosofica di Claudio Borghi, risale ad anni molto lontani. Concepita e vergata a più riprese, senza alcun iniziale intento sistematico, quando l’autore era studente liceale, è stata poi perfezionata e in parte rivista – più nella struttura linguistico-espositiva che non nella sostanza – in anni successivi fino ad oggi, quando il maturare di interessi scientifici e di ricerche specificamente fisico-cosmologiche non avrebbero impedito all’Autore di dedicarsi ancora alla filosofia e alla poesia (come dimostrano le sillogi in prosa poetica di recente pubblicazione, rispetto alle quali gli Aforismi possono considerarsi una prima prova embrionale).
Per quanto il frammento, con la sua caratteristica a-sistematicità, costituisca senz’altro la cifra formale dell’opera, non si tratta di un testo ‘frammentario’. Nonostante il carattere visionario, a tratti rapsodico, di un flusso interiore a prima vista di difficile decifrazione, è possibile coglierne – quasi musicalmente, ad una lettura lenta – la pulsante trama unitaria. Come accade negli illustri esempi letterari o filosofici di pensiero aforistico cui l’Autore si volge più o meno direttamente (Pascal, Kierkegaard, Schopenhauer, ma soprattutto Novalis) negli Aforismi ricerca conoscitiva, riflessione speculativa e meditazione spirituale si fondono con sapienza cercando di attingere l’unico Centro: la Cosa ultima, l’Origine assoluta nella quale materia e coscienza, immanenza e trascendenza – anziché ipostasi separabili – entrano in risonanza quali emanazioni sostanziali di una viva Essenza che di sé permea ogni creatura ed ogni natura.
La ricerca dell’Originario che Borghi intraprende qui per la prima volta, attraverso un itinerario dell’anima entro un “corpo di luce”, che si rivela ora enigmatico e sfuggente ora chiarissimo, concede comunque ben poco alle pulsioni irrazionalistiche dell’intimismo. In effetti, a differenza di quanto ci stanno da tempo raccontando tanta (presunta) nuova poetica e tanta (sedicente) post-filosofia odierne, in queste pagine assistiamo ad una speculazione ontologica che non si chiude mai in rigido ‘ontologismo’, ad uno scavo nello spirito che non diviene mai sterile ‘spiritualismo’: sicché anche nelle sequenze in cui palpabile si fa la vertigine mistica, il pensiero – anziché rifugiarsi nel comodo abbraccio del ‘misticismo’ – non abdica mai a se stesso e alla necessità, certo sofferta, dell’intellegibile.

2. Metafisica della Figura e Singolarità
Elemento decisivo, per molti versi il nucleo teoretico generativo degli Aforismi, è il costante riferimento, non certo estrinseco, alla filosofia platonica e neoplatonica dell’“analogia Entis” che, da Plotino a Cusano, attraverso Agostino e Meister Eckhart, nutre l’intera speculazione romantico-moderna e senza la quale, secondo l’autorevole giudizio di Marco Vannini, pressoché nulla sarebbe davvero comprensibile del sapere filosofico contemporaneo (cfr. M. Vannini, «Introduzione a M. Eckhart, Sermoni tedeschi», Adelphi 1985).
La disamina svolta sin qui non può in effetti esimersi da tutta una serie di sequenze – che compongono le parti centrale e finale del testo. Sono i momenti, di intenso impatto, in cui l’Autore si cimenta in una delle imprese più ardue e complesse, che più mettono alla prova la nostra razionalità di pensanti del XXI° secolo: il retrocedere, l’eckhartiano “distacco” dal Sé dell’Io soggettivo – l’Io psicologico ma finanche l’Io esistenziale – e il suo ‘aprirsi’ in se stesso alla vibrante imminenza, alla prossimità estrema di una Identità ‘altra’.
Solamente un malinteso ‘criticismo’, alimentato da un altrettanto frainteso ‘realismo’ – oggi tipico di rinomate ma alquanto discutibili operazioni intellettualistiche decostruttive – potrebbe a questo punto misinterpretare, in direzione ancora una volta mistico-esoterica, quell’Indicibile che gli Aforismi non temono invece di ‘in-dicare’ con rigore: è esso il Concreto, l’Uno-Unico che è viva Presenza, e del quale l’Evento cristiano – l’incarnarsi del Verbo – diviene Figura escatologica essenziale. A questa altezza, la metafisica dell’estetico wittgensteiniano si trova come ‘trasfigurata’ in virtù dell’“alta fantasia” neoplatonica che medita sulla interiorità del Principio: l’infinito Essere, visibile in ogni sembianza del finito, si mostra nella stessa sapienza trinitaria dello Spirito in quanto eterno presentarsi destinale del Padre “nel” Figlio. (Rilevante sarebbe il confronto, su questi temi, con la dialettica ermeneutica che da molti decenni Massimo Cacciari sta intrattenendo col neoplatonismo e il pensiero teologico cristiano: si vedano ad esempio le notevoli riflessioni sulla “età del Figlio” e sulla “estetica dell’Icona” contenute in Generare Dio, Il Mulino 2017).
L’”itinerarium mentis”, che in questa sua opera lontanissima Borghi fa cominciare dalla ricerca ‘universale’ del Fondamento, si chiude pertanto in circolo riannettendosi all’Inizio ‘assoluto’, all’ “È” che eternamente si fa a noi Presente. Ciò che poteva malauguratamente sembrare l’ennesimo ritorno ‘hegeliano’ ad un’ambiziosa, quanto improbabile, metafisica della Totalità – in cui il Soggetto si illude di plasmare l’Oggetto allo ‘specchio’ della propria insaziabile ed egoica volontà di potenza – ha dato voce al contrario, passo dopo passo, frammento dopo frammento, alla irriducibile Singolarità dell’essente.
Ecco perché gli Aforismi di luce sono capaci di delineare, con coerenza (in senso controcorrente rispetto alla cultura della “post-verità”, oggi dominante, con tutti i rischi connessi ad un sempre più inquietante “transumanesimo”), ancora una metafisica, che trova il suo specifico come ontologia dell’alterità. Laddove infatti autentica trascendenza non si realizza se non nel ‘trascendersi’ del Pensante al di qua (non al di là!) della sua propria immanenza, diventa plausibile e nuovamente praticabile un excursus poetico, ovvero speculativo e contemplativo, entro la “differenza ontologica”, dove l’Altro – anziché ‘nient’altro’ che la copia di un Medesimo – è Novitas assoluta.
L’altro essente è, in sé e per sé, sempre un “alter-ego”: non solo ‘parte’ di un Tutto, mera ripetizione di un Archetipo, ma un “in-dividuo” che ‘partecipa’ della infinita finitudine, della irripetibile natura ‘singolare’ di ciascun altro Singolo. Ad immagine e somiglianza ‘rammemorante’ del “Verbum agentis”, l’immemorabile poiesi creaturale che inerisce alla originaria e fontale Parola: l’iniziale «Fiat Lux», che nessuna Ragione o nessuna Relazione ‘logica’ potrebbe mai determinare ‘scientificamente’, in quanto è esso la “Ratio” fondante la possibilità ontologica della nostra – e di ogni ‘altra’ – esistenza, tale solo “alla luce” dell’Essere.
Nelle parole ‘alte’ di una bella pagina recente di Emanuele Severino, «il discorso che abbiamo fatto non consiste nel dire (…): c’è soltanto l’apparire finito. Non c’è soltanto l’apparire finito, secondo quanto si è voluto ricordare, che è finito in quanto accoglie il sopraggiungere della terra, ma (…) l’apparire finito, la costellazione dell’apparire finito, implica necessariamente l’apparire infinito». Ossia «quell’apparire che non solo è eterno, ma non è nemmeno il luogo in cui qualcosa va sopraggiungendo: giacché è già tutto presente» (E. Severino, Lezioni milanesi. Il nichilismo e la terra (2015-2016), Mimesis 2018, pp. 192-193).

*

Di seguito due brevi estratti, uno dalla sezione omonima Aforismi di luce, l’altro dalla sezione conclusiva in versi, Bianche schiume del molo.

da Aforismi di luce

Anima spaziale

Il mondo esteriore è uno stadio dello sviluppo dell’anima: si configura in forme o momenti che, non essendo conoscibili nel loro sviluppo intero, risultano inafferrabili.
Ogni essere è un momento creato: fondendosi con gli altri può generare forme diversissime, che si staccano dal corpo della luce e ad essa ritornano, nella dinamica incessante del tempo.
Ogni trasformazione nasce dalla luce e crea la luce.
Ogni stadio è luce cosciente in simbiosi con la fonte della vita – ne assume la potenza e la traduce in atto nell’esperienza.
L’anima, in apparenza un mare di profondità (inconscio) e superficie (coscienza), è in realtà una sostanza puramente spaziale, immersa nella corrente del tempo e diffusa tra cose e forme.
Quel che vede e, più in generale, percepisce è la sua dimensione esteriore.
Il trascendente sta oltre il cielo e questo – l’azzurro – è il punto di contatto.

*

Sviluppi

La luce è stasi internamente dinamica, nel cui cuore tutto scorre.
Il corpo luminoso contiene, in potenza, il tempo e la materia.
La dimensione sensibile del mondo è lo stadio vivente dello sviluppo della materia e del tempo, che nel centro umano si accende nel fuoco dell’idea.

*

Genesi pensante

La vista è intelligenza – capisce a guizzi, a parti, a totalità.
L’arte è uno stelo suscitato dalla luce divina.
La musica nasce da un momento e lo sviluppa in una successione pensante. Il tempo musicale contiene oggetti spaziali: nucleo del tempo sono gli elementi materiali.
La pittura permette alla materia di attingere, in apice o in imo, la propria essenza.
Il durare dei momenti pittorici origina la musica.
La musica esprime lo sviluppo della materia, silenzioso e atemporale.
Il corpo luminoso scaturisce in una rapsodia di successive nascite, come un prato celeste di sorgenti stellari.
Il mondo è il frutto di una genesi pensante.

*
La notte

La notte, fine del corpo luminoso, è un’immersione lenta nel non essere.
Il sonno, nel navigare profondo di un’identità diffusa, riflette e contiene le tenebre di una morte vivente in attesa dell’inizio del giorno, della rinnovata creazione del corpo di luce.
Il sole, fonte pensante del corpo luminoso, crea i suoi stati pensanti. Lo stesso vale per l’uomo: la coscienza crea l’incoscienza, gli stati percepiti come interiori.

***

da Bianche schiume del molo

Bianche schiume del molo
sullo scorrere lampeggiante dell’onda
come cani sciolti e chiari
onde sugli scogli
come magiche curve della luce
inventano bagliori
la foresta trema nella notte
in un argenteo frusciare lontano di mari.

*

Un’orbita improvvisa compare
tra i flutti robusti dell’essere
distratto, stupito il nulla
frusciante di cieli di colpo
freme, lascia fiorire il suo centro.

*

In alto –
il ghiacciaio del Verbo.
Il mondo è il mare.

*

In Uno lucido,
a coscienza spiegata, distesa,
penso, in Uno profondo,
a coscienza chiara, sola
mente nel tempo vivente
persa nell’idea diffusa,
nel sangue lucido,
nell’ora del tempo
in sé chiusa, occhio di pulcino
sfavillante e muto
nell’ora dell’estasi in acuto,
nell’inatteso accendersi
della potenza l’istante splende
di lucida eternità.

*

Il giorno si apre
come rosa viva –
la brace degli attimi
riscalda l’aria,
la maestà dolce,
silenziosa dell’onda
del tempo colma la visione
di fiamma o di neve,
rosa il viso, le mani,
poco cuore, quasi nulla,
ma non ancora morte –
unica statua l’alta luce.

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Gioielli Rubati 71: Silvia Bre – Marco G. Maggi – Gisella Canzian – Marina Marchesiello – Iria S. Gorran – Iole Toini – Chiara Marinoni – Andrea Ponso.

Io vado destinata a un sentimento
che ha la forma del parco che ora vedo,
e ciò che vedo è il viale in cui l’inverno
è rami, pietra, acque, tramontana,
e passi di una donna che cammina.
Ma per come procede e come leva
lo sguardo secolare sulle foglie,
lei è la specie, a lei torna la rima
nella quale riposa il mondo intero –
così la qualità del giorno vaga
continuamente tra le parole e il cielo.

di Silvia Bre, qui:
http://www.neldeliriononeromaisola.it/2016/04/197285/

*

Quasi Natale

Quasi Natale,
scade la rata del mutuo, la cartella
per il ritardo dell’IRPEF, l’IVA
e l’assicurazione sulla vita
il bollo e l’RC auto

Sento parole d’augurio,
canzoni ricche di dolcezza,
serenità e amore, mentre sto
come un Babbo Natale ubriaco:
non sono stato buono quest’anno
ho solo preoccupazioni e carbone

Qualcuno fuori balla la samba
e io bevo gli ultimi sorsi dell’anno
tra ricchi premi e cotillons
sparando le ultime cartucce
di una festa diventata dolore.

di Marco G. Maggi, qui:
https://mandolinom.wordpress.com/2019/12/15/quasi-natale/

*

Vivo di luce –
Io sono nebbia e brina
tra cielo e campi.

di Gisella Canzian, qui:
https://www.facebook.com/gisella.canzian.75?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARD81VaUnsG9n727BOlwMfIyYOGheTjBF6Qja6AkgafbXT1mUPcM5h_HZrJYPhSPi6ijlSZCmFuz2ulR&hc_ref=ARSVR4VlAA-AmaLkuQKXQ0a_rkWKw3ftmaCqwEF5d_sVS8OywPehIR8r-PkkDy04Brw&fref=nf

*

Io sono quella che si prende cura
delle luci nei silenzi.
Quelle che con lame acuminate
indicano il punto esatto
dove la felicità ha già parlato.
Ho fatto tutto da sola mentre non c’eri:
ho riappaiato calzini, tolto chiodi ai piedi
e camminato ai bordi delle croci del buio
per dare io vita alle ombre.
Ho chiesto di commuovermi
ai cuscini che sanno stare da soli,
e alle finestre aperte sulla bella stagione.
A volte non c’è aria
che mi ritorna intera
come l’avevo ricordata.
È per questo che io sono condannata
e benedetta
a rimanere sempre la stessa
quando vanno via anche gli addii.

di Marina Marchesiello, qui:
https://www.facebook.com/marina.marchesiello?sk=wall&fref=gs&dti=148742045294230&hc_location=group_dialog

*

Non ho

non ho
che variazioni di luce
cambiare colore al tuo vestito
la tua andatura è un verso tronco
in fondo alla sterrata l’aria si fa di pioggia
sotto un resto di volta
sto qui s’addensano le nuvole
Acqua celeste
oscillerà sul sipario del vento
un temporale
chiude i nostri segni
squarcia il velo fino dei capelli

di Iria S. Gorran, qui:
https://egilllarosabianca.wordpress.com/2019/12/20/non-ho/

da Corpo di guerra (Anterem Edizioni)

*

La pura forma del cuore affonda e rilancia un altro cuore.
E’ reale. Vera apertura alare.
A troppi mattini veniamo a noia.
Un solo corpo. Uno e semplice. Vero.
Le braccia si perdono; si perde l’occhio e il racconto di sé.
Qui e ora. Il bianco e l’aria del bianco.
Corpo che cade e sente. Corpo fendente.
Il bianco batte in petto. E’ tutto.

di Iole Toini: Campelli, Val di Scalve – 30/11/2019, qui:
https://www.facebook.com/lorenza.toini?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARCzG8R7yrfYVg5IAFiONZ7bZ9SXNoYpvQgs-Jb2jY_mphf4V_vTqoAnsAAPhrMcDpI-d0YSAxJ1oHKt&hc_ref=ARTmeoU1WkpWavz-gqTDLiaWZ_oG3DXYqI80CN4bj3ZMNnohDalMqp7EJy_eRE_cQ_4&fref=nf

*

Ci rimane l’attesa?

Come in ogni attimo
si attende il dopo
e si perde il presente.
Mi auguro di prendere
ciò che arriva oggi
ogni sorriso è gradito
un struscio di carezza
un tocco vellutato di un bacio
tu che ascolti i miei silenzi
io la pazienza di accettare
ogni tramonto senza sole.
Oggi comincia
ed è già una mattina di sole.

di Chiara Marinoni, qui:
https://chiaramarinoni.wordpress.com/2019/12/27/ci-rimane-lattesa/

*

Dai bombardamenti: orbato; ecco,
catrame, anche sui rottami: uno sfrigolio
dal frigo svuotato, non c’è più pane, qui;
l’acqua lentamente commenta: chiazze,
sbriciolamenti, muffa … non è un affanno:
è ferraglia coperta di ruggine ma –
disumanamente resistente: come il tetano,
se tocchi questi ferri intrecciati forse
ti uccidi; ne ho alcuni, grigi o rossastri,
conficcati nel costato: è una pentecoste
per niente, a caro prezzo; una mano mozzata;
un deserto in cui, come uno spillo, ritrovare
l’avanzata folle dell’esodo o la morte per sete.

di Andrea Ponso, qui:
https://www.facebook.com/andrea.ponso.9

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Ascolta & Leggi: Janis Ian e alcune quartine di Anna Maria Curci

II
Raccogli panni e polvere a tentoni
(volteggia cencio bianco in dissolvenza).
Increspate le reti a ranghi storti,
pesca a strascico appare soluzione.

*

V
Al portatore d’acqua non si chiede
di narrare di sé e della sua fonte.
Sorda sete che s’avventa sul secchio
scansa polvere suole e passi stanchi.

*

XXIII
Mi insegui, disdegnato testimone,
anche quando sul bordo prendo fiato
e la sfiducia mi ha sbucciato il palmo.
E’ ignota ai molti la forza del mite.

*

LXXV
Come tenente Drogo dei refusi
presidio una fortezza smantellata.
Le orbite un retino da farfalle
bucherellato, non acchiappa niente.

*

LXXXVI
Mi rivesto da donna questa sera
(non vergognarti di essere solo umana).
L’ampia gonna in tessuto marezzato
coprirà sbucciature di ginocchia.

*

CXII
Non un’isola, nemmeno una boa,
solo un turacciolo usato e disperso,
gettato a caso ad assorbire sabbia
che si rotola goffo in cerca d’acqua.

*

CXLVIII
Ci avvisarono in classe, era il liceo.
Scorta spezzata in Via Fani, il sequestro.
Tutto è finito, s i affacciò il pensiero.
Fu allora che la notte invase il giorno.

*

CLXVI
Tu resta, ciabattina, al tuo deschetto
(a pallettoni spara il blasonato);
io resto, canto e rido e poi risuolo.
Maestri, non tromboni, riconosco.

(da Nei giorni per versi di Anna Maria Curci – Arcipelago Itaca Editore)
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l’altro modo

mai avuta voglia, ricorda,
di parole insapori a caso,
che a rimetterle insieme
si lascia l’anima a terra
tra ratti e monete cadute

penso sia giusto rimanere
in quelle poche centinaia
di accompagnatrici ai giochi
dove ogni giorno è dissuadere
dal fallimento l’impresa

non ho voglia di pensare,
lascio volentieri l’altro modo
ad assassini e alle loro vedove,
lascio tutto quanto
non sia vedere oltre

Ascolta & Leggi: Massimiliano Chiamenti & Emme.

fatture

le uniche lettere che ricevo
sono ormai solo richieste di pagamenti
multe bolli sanzioni minacce
mai un messaggio con un invito a cena
o a leggere le mie poesie
da qualche parte
o un editore che mi voglia pubblicare
da me il mondo vuole solo soldi
che non ho più neanche per mangiare
allora ogni giorno mi alzo
spero di riuscire a trovare cibo
e attendo il momento del sonno
che mi liberi dall’incubo della mia vita
non cerco più niente
ho perduto tutto
e più niente mi interessa
tiro solo avanti
senza mai un aiuto
e attacchi sempre più omicidi
mi faranno morire tutti di fame
e di crepacuore
ma io continuo il mio cammino
anche se questo inferno
non si può chiamare vivere
eppure è così
nella vita ci vuole prudenza e senso pratico
o si perisce
e i guai non hanno mai rimedio
basta un attimo a commetterli
e poi non si rimedieranno mai
perché non mi uccido?
perché anche per togliersi la vita
ci vorrebbe un bello slancio di vitalità

*

tradimento

questa poesia la scrivo in segreto
mentre sei a cena dalla mamma
e firmo pure un contratto per la pubblicazione
che tu disapproveresti
ma ho fretta di pubblicare
a 43 anni vissuti così – bello mio – il futuro sembra un soffio
e non ti tradisco con un altro ragazzo
perché tu sei il più bello e profondo del mondo
una fonte inesauribile
di amore e bellezza
ma ti tradisco con queste parole
che spedisco dal tuo letto
al mio amico mirko fuggitivo per la svizzera
e al pio nuovo editore
che raccoglie di me
le prime ceneri del nostro amore
come la cenere che si mette sotto la coca basata
perché la scrittura è solo detrito
e la mia vita a tutto tondo sei tu
scriverò per te
“quello che non fue mai detto di alcuno”
nel mio prossimo libro
che poi è ormai questo qui
possano gli dei tenerti accanto a me
in ogni vita in ogni tempo e in ogni luogo
in ogni regno di esistenza
dove tu mi sarai principe e consorte

*

la farfallina notturna

non scrivo mai così di getto
dentro il rettangolo di una mail
ma devo risponderti subito
o i pensieri se ne vanno
il fatto è
che una farfallina notturna
si è posata accanto al computer
e potrei ucciderla con un dito ora
è scema e ignara
o sa che non la ucciderò?
non è una bella farfalla colorata
ma una piccola sgorbietta
del colore di una cimice
se ne va in giro la notte
per quelle quattro o cinque notti
che dura la sua vita
me lo ha detto anche il pizzaiolo
quello egiziano con due mogli
che io non farei male
neppure a una mosca…
ma non sono buono
sono solo incapace
che uomo fragile che sono…
verrò spazzato via
e finirò nel rusco
notturno effimero io
come l’animaletta
che sta immobile
qui ora
sul tavolo di legno
accanto al cellulare
e al posacenere
e sembra come me intenta nello schermo

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per saperne di più:
https://it.wikipedia.org/wiki/Massimiliano_Chiamenti

Ascolta & Leggi: Suoni Spezzati – Maria Allo (feat. Piero Romano)

Ecco un bell’esempio di poesia che può diventare canzone

Suoni Spezzati

Esplodono bisbigli nella notte.
In un guizzo le parole roride di vuoto
Fluiscono nelle galassie e sfiorano
Trasparenze e rifrazioni di altri cieli
Brandelli in attesa senza ricompensa
Nutrono questa ricerca di mani
Nell’incresparsi dentro le parole
Foglie cadute a riempire oscurità
Scrutano il mare
Nel vento forse c’è un riparo
Ai suoni spezzati
Come nel deserto che avanza
La vibrazione del resistere

© Maria Allo

La poesia, inizialmente intitolata Resistere, è stata pubblicata nel 2016 sul blog dell’autrice, “Solchi”, qui:
https://nugae11.wordpress.com/2016/06/12/resistere/

Santo Stefano

Il tempo bara, l’arnese è sul tavolo,
porta via la posta e se ne va;
ai giocatori il rimpianto e un verde
pronto a virare al nero:
col pubblico non conviene fare schifo,
tradire l’emozione, lasciare.

La sala è troppo grande per chi resta,
il riscaldamento spento
non lascia spazio alle finestre
per cambiare aria.
Il colore non è buono,
la minima batte la massima

e non ho detto quanto manchi, qui.

(a mio cugino Steve, 1943 – 2017)