ascolti amArgine: A salty dog – Procol Harum (1969)

I meno piccini la ricorderanno quale sigla della trasmissione “Avventura” della TV dei Ragazzi sull’allora Canale Nazionale Rai, oggi Raiuno. E’ rimasta una bellissima operina d’arte, gioiello senza tempo. Un gran testo di stampo melvilliano.

UN LUPO DI MARE

“Tutti in coperta, stiamo andando alla deriva!”
ho sentito gridare il capitano
“Esplorate la nave, sostituite il cuoco:
che nessuno se ne vada vivo!”
Attraverso stretti, oltre Capo Horn:
quanto lontano possono volare i marinai?
Un percorso contorto, la nostra tortuosa rotta,
e nessuno sopravvive.

Abbiamo navigato in luoghi sconosciuti all’uomo
dove le navi vanno a morire
Nessuna nobile cima, nessuna audace fortezza,
può essere paragonata all’occhio del nostro capitano
Al settimo giorno di mal di mare
abbiamo deciso di sbarcare
Una spiaggia così bianca e un mare così blu
un posto per niente mortale.

Abbiamo usato le armi, bruciato l’albero maestro
e remato dalla nave alla riva
Il capitano urlava, noi marinai piangevamo:
le nostre lacrime erano di felicità
Ora molte lune e molti mesi di Giugno
sono passati da quando sbarcammo
Un lupo di mare, questo diario di bordo:
il tuo testimone, la mia stessa mano

TESTO ORIGINALE

“All hands on deck, we’ve run afloat!”
I heard the captain cry
“Explore the ship, replace the cook:
let no one leave alive!”
Across the straits, around the Horn:
how far can sailors fly?
A twisted path, our tortured course,
and no one left alive.

We sailed for parts unknown to man,
where ships come home to die
No lofty peak, nor fortress bold,
could match our captain’s eye
Upon the seventh seasick day
we made our port of call
A sand so white, and sea so blue,
no mortal place at all.

We fired the gun, and burnt the mast,
and rowed from ship to shore
The captain cried, we sailors wept:
our tears were tears of joy
Now many moons and many Junes
have passed since we made land
A salty dog, this seaman’s log:
your witness my own hand.

lo spettacolo del cielo

Amore, lo so, tendo a calpestare lo sporco,
pozzanghere di ogni fatta, non vedo le buche
e debbo passare il giorno dopo
a pulirmi piedi, scarpe, calzini:
ma, sarò prosastico e imbecille,
hai visto lo spettacolo del cielo?

la canzone è vecchia, senza parole, è poesia,
l’ascolto fin dai quattordici anni
ancora non ho smesso, mi commuove ogni volta,
specie oggi, che cambio vita:
niente più spesa settimanale, o mille mila
cose da fare tutte con poco verso

Pinco alla pensione non c’è mai arrivato,
nemmeno Spago, Ilario, Mengo, Michele,
nemmeno Davide, Giacomo, tutti quanti là,
a parlare linguaggi di pietra

quante volte, arrabbiato, ho detto
basta con questo schifo! la civiltà del lavoro
è morta e sepolta, non posso farci niente!

sono libero adesso di andare a guardar cantieri
e costruzioni, inutili impalcature,
ho un groppo in gola grosso, grosso

si direbbe grande, come
lo spettacolo del cielo

(OGGI E’ L’ULTIMO GIORNO, DA DOMANI SARO’ UNA SPECIE DI PENSIONATO)

Gioielli Rubati 57: Luisa Zambrotta – Giuseppe La Mura – Anna Leone – Augusto Roa Bastos – Nadia Alberici – Giancarlo Locarno – Anna Maria Ricci – Maurizio Manzo.

Il profumo dell’acqua

L’ho incontrato ancora,
il profumo dell’acqua.
Mi ha riempito i polmoni,
è arrivato dritto al cuore
portando a galla il ricordo
di una gioia lontana,

Un profumo raro, umido e dolce,
vago e indescrivibile.
Poi si è rintanato in fondo all’anima
nell’attesa del prossimo incontro…

THE SCENT OF WATER

I met it again,
the scent of water.
It filled my lungs
and plunged into my heart
bringing back memories
of a distant bliss.

A vague scent, humid and sweet,
beyond the grasp of words.
Then it hid again in the depths of my soul
just waiting
for our next encounter.

di Luisa Zambrotta, qui:
https://wordsmusicandstories.wordpress.com/2019/09/11/il-profumo-dellacqua/

*

Dalla notte non si scappa mai
Viene a prenderti anche nel sonno
Per farti guardare coi tuoi occhi pieni di sogni
Chi sei
E chi sarai,
E io mi guardo allo specchio buio
E vedo Te
Lontana
Riflessa nella luna.

di Giuseppe la Mura, qui:
https://giuseppelamura.wordpress.com/2019/09/13/21019/

*

Sugli obliqui accadimenti

Assiepati dentro le nostre rassicuranti notti; ogni alba ci coglie impreparati.

la chiamano paura,
ma è solo stare
nel desiderio vivo delle cose,
che ancora devono cominciare.

E chissà se oggi avrò mani da porgere, oppure resteranno lungo i fianchi.

Avrò cura di questo nuovo giorno: sugli obliqui accadimenti
intersecherò uno sguardo buono.

Ad intercettare vite,
delineare cunei di incontri, nicchie di cuori pulsanti, in cui esaurire
quel senso nudo del mio re- stare.

*

FUGA

Sopra il ferro dimenticato sfioriscono le viole.
E sopra il ferro crescono sospiri e addii,
le orme musicali del cuore del vento
che cerca lontananze per scordare i suoi boschi.

Un cervo trasparente sogna squarci di fuga.
Ma il sogno s’infrange contro sentori di morte.
Non basta il profumo del nardo a placare
la fronte dove gemono smeraldi e addii.

Dove ha sepolto il sole il suo cerchio splendente,
la sua corolla ardente, in quale sabbia, in quale notte,
se tutto rimane in silenzio: vento, fiore e battito,
se tutto è ormai immobile tra le alte torri?

Il cervo trasparente giace sotto la nebbia.
Gli occhi morenti nell’umidità salmastra
guardano tra le ombre del fumo e della lama
il suo sangue che si rapprende nella notte.

Versione libera da “Huida” di Augusto Roa Bastos, 1947 (Francesco Marotta) qui:
https://rebstein.wordpress.com/2019/09/15/fuga/

*

IL CORRIDOIO

Faceva tanto caldo, un panno di lana
Nessun risuono ambrato, nessun rintocco d’albe

Lo strato di banalità allestito, un palco di teatro
Beveva come spugna la consuetudine degli applausi

Tu ed io aprimmo un corridoio di corrispondenza
A comprenderci e non capire: perché mai fino in fondo

Lisciavamo le nostre radici di percorrenze astratte
Verso ogni insoluto, verso l’incompreso

Ciò che cerchiamo, pungendo ostinatamente la carta
E ogni enunciato, con la punta e la sfera

Ciò che ostinatamente dall’altra parte
Qualcosa ci chiama a fare

È quell’ignoto che abbiamo fra le tempie
E davanti alle feritoie delle nostre mura.

di Nadia Alberici, qui:
https://sibillla5.wordpress.com/2019/09/16/il-corridoio/

*

Cigni a Varallo

Fossero tutti come questa brughiera
dietro l’aeroporto e pronti a spiccare il volo
al primo agguato della città.

Ma rampolla la mala striscia del bianco nebbia
fra i lentischi alla salita dei gradini invernali.
In albis, davanti a una platea di cellule vecchie
si ridicolizzano i miei umbratili presagi
in cavatine per fanelli.

Nelle case, schiodata l’asse sulla porta
i poveri ungheresi a caccia di siluri
per le mense dell’est
non trovano nessun pane nella madia.
La pertica affonda alla rada dei cigni
nella piccola baia dell’approdo.

I cigni a Varallo sono cattivi
uccidono per un pane sbriciolato nel verde
possono inseguire un gatto o un bambino
poi si alzano in volo col collo teso
dentro la macchina del rallentatore
e vengono lasciati così, obliqui, a trapassare gli strati
che allungano i cieli degli antichi
in un pensiero malinconico
che non s’incarnerà.

di Giancarlo Locarno, qui:
Giancarlo Locarno: Tre poesie

*

So che i nostri belli sguardi

Quando ammiro
tramonti
so che i nostri
belli sguardi si incontrano,
e mi perdo.

di Anna Maria Ricci, qui:
So che i nostri belli sguardi

*

ZOMBIE

signore perdona i morti
perché non sanno più cosa dicono
e non sanno che sono muti
non più preda di mutui a vita
concedi più luce anche di notte
attenua le correnti dei fondali marini
insegnagli a camminare sull’acqua
come gli zombie di Romero
così che ci sembri che non anneghi
nessuno che non fosse già morto
e che non muoia nessuno
che sembri ancora vivo

di Maurizio Manzo, qui:
https://ilcollomozzo.wordpress.com/2019/07/13/zombie/

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ascolti amArgine: Flaming – Pink Floyd (1967)

Sono uno di quelli che pensano e amano ancora il genio di Syd Barrett, i Pink Floyd avrebbero dovuto cambiar nome dopo la sua cacciata. Altro che omaggi tardivi e pelosi alla Wish you were here, cazzo! “Flaming” era inizialmente intitolata “Snowing”, che significa nevicata. Il “flaming” è una delle caratteristiche sensazioni provocate dall’LSD per la quale oggetti come sigarette e dita sembrano generare scie di fuoco.

IN FIAMME

Solo tra le nuvole tutte blu
sdraiato su un piumino, Yippee!
Tu non puoi vedermi ma io riesco a vedere te!

Oziando nella brumosa rugiada
sto seduto su un unicorno
Niente paura! Tu non puoi sentirmi
ma io sento te!

Guardando i ranuncoli afferrare la luce
dormO su di un dente di leone
É troppo!
Io non ti toccherò eppure potrei.

Nuotando attraverso il cielo stellato
viaggio per telefono
Ehy oh, su andiamo
mai così in alto!

Solo tra le nuvole tutte blu
sdraiato su un piumino, Yippee!
Tu non puoi vedermi ma io riesco a vedere te!



TESTO ORIGINALE

Lone in the clouds all blue
Lying on an eiderdown, yippee
You can’t see me but I can you

Lazing in the foggy dew
Sitting on a unicorn
no fear ! You can’t hear me
but I can you

Watching buttercups cup the light
Sleeping on a dandelion
too much
I won’t touch you but then I might

Streaming through the starlit skies
Travelling by telephone
Hey ho here we go
Ever so high

Alone in the clouds all blue
Lying on an eiderdown, yippee
You can’t see me but I can you

Oggi è pace

Va da sé, guerra è niente:
più difficile fare pace.

Bambina da crescere, educare,
il padre deve smettere di bere.

Dall’indecenza del cemento
è colata acqua di cattivo tempo.

Spenti gli incendi, riaccesi i presepi,
rivedo mia madre a suo tempo
dentro un letto di fango.

I governi si arrangino, passino,
non lascino impronte.

Incontrarci, nostro destino.

Ricordi il caldo di quel giorno,
ricordo il tuo vestito a fiori
assetato di rugiada.

Oggi è pace, canzoni,
balli da annacarsi.

René and Georgette Magritte with their dog after the war di Paul Simon (1983)

La canzone, inclusa nell’album Hearts and Bones del 1983, trae spunto da una fotografia dei Magritte e del loro cane in Belgio del fotografo Lothar Wolleh. Ne scattò due in realtà: una, “René e Georgette Magritte con il loro cane durante la guerra”, era una foto in bianco e nero, presumibilmente dell’epoca della seconda guerra mondiale. La seconda, “René e Georgette Magritte con il loro cane”, era nella loro casa in Belgio fin dal 1967. Musicalmente è un pezzo evocativo e un gioioso tributo ai gruppi doo wop degli anni ’50.

René e Georgette magritte con il loro cane, dopo la guerra

René e Georgette Magritte
con il loro cane, dopo la guerra
tornati alle loro suite d’albergo
E hanno aperto la porta
si sono liberati facilmente dei loro abiti da sera
Hanno ballato dalla luce della luna
con i Penguins, le Moonglows
gli Orioles, i <five Satins

Musica proibita e profonda che desideravano
René e Georgette Magritte con il loro cane dopo la guerra

René e Georgette Magritte
stanno passeggiando lungo Christopher Street
quando si fermano davanti a un negozio da uomini
vedendo tutti i manichini vestiti nello stile
che la portato tanta commozione negli occhi degli immigrati,
proprio come i Penguins, le Moonglows
gli Orioles, i Five Satins,
il flusso facile della risata
attraversa l'aria
René e Georgette Magritte
con il loro cane après la guerre

fianco a fianco, sono caduti addormentati
decenni scivolano via come gli indiani, il tempo è a buon mercato
Quando si svegliano, troveranno
Tutti i loro effetti personali

René e georgette Magritte
con il loro cane dopo la guerra
sono stati a pranzo con l’elite
e cosa credono di aver nascosto
nel rispostiglio freddo dei loro cuori?
i Penguins, i Moonglows
gli Orioles, e i Five Satins
Per ora e per sempre
Come era prima
René e Georgette Magritte
Con il loro cane dopo la guerra

TESTO ORIGINALE

Rene and Georgette Magritte
With their dog after the war
Returned to their hotel suite
And they unlocked the door
Easily losing their evening clothes
They danced by the light of the moon
To the Penguins, the Moonglows
The Orioles, and The Five Satins
The deep forbidden music
They’d been longing for
Rene and Georgette Magritte
With their dog after the war

Rene and Georgette Magritte
With their dog after the war
Were strolling down Christopher Street
When they stopped in a men’s store
With all of the mannequins dressed in the style
That brought tears to their immigrant eyes
Just like The Penguins, the Moonglows
The Orioles, and The Five Satins
The easy stream of laughter
Flowing through the air
Rene and Georgette Magritte
With their dog apres la guerre

Side by side
They fell asleep
Decades gliding by like Indians
Time is cheap
When they wake up they will find
All their personal belongings
Have intertwined
Oh Rene and Georgette Magritte
With their dog after the war
Were dining with the power elite
And they looked in their bedroom drawer
And what do you think
They have hidden away
In the cabinet cold of their hearts?
The Penguins, the Moonglows
The Orioles, and The Five Satins
For now and ever after
As it was before
Rene and Georgette Magritte
With their dog after the war

Credetemi, esisto

Voce fintamente sveglia
di chi vuol penare un altro po’,
unire nuovi grani di compassione.
La testa soffre, fa male, gira.
Stropicciata se ne infischia,
vorrebbe riuscire a spacciare
il vuoto per non detto.
Credetemi, esisto.
Non sono quel che leggete:
sono altro, un maiale coi denti marci,
il ventre è un barile.
Guardo il culo alle donne
con intensità da guastarli
e subito scordare con tre Ave Maria.
Se visto, distolgo gli occhi
poi li getto a terra.
Forse sono fascista.
E quando dormo, russo, sbavo.
So mentire, fingere, unica mia arte.
Puzzo, non mi lavo, rubo anche,
mi masturbo, tanto da stupirmi
di non essere ancora cieco.
A volte provo a scappare,
ma annodo male le lenzuola
peggio di un albatro con ali triturate.
Vedete? La bellezza non è mia parente
nemmeno alla lontana.

Esploratore o avventuriero
del linguaggio e anche ladro,
il tuo compito
come segno distintivo
sarà quello di carpire
nel labirinto, le parole
piegandole con dolce violenza
al tuo volere
con umiltà orgogliosa
rapinandole
del senso misterioso della vita.

(Gianni Fucci)

Ascolta & Leggi: “Cemetry Gates” degli Smiths e “Salti su, Dennis” di Simon Armitage

Salti su, Dennis

Un uomo faceva autostop sulla rampa dell’A 16
appena fuori Calais. Malgrado i lineamenti affilati
al cesello, e una disperazione nel linguaggio corporeo, mi
sentii in dovere di caricarlo, quindi alt la macchina e giù il
finestrino. Infilò dentro la testa e disse: “Sono
Dennis Bergkamp, giocatore di football dell’Arsenal. Stasera
c’è partita in Lussemburgo, ma siccome ho paura di
volare, viaggio via terra. Poi ho litigato con l’autista
e lui mi ha lasciato qui. Può aiutare?” Risposi: “Salti su
Dennis”. Buttò la sua roba nel baule e si allaccio la cintura
al mio fianco. “Come mai avete litigato?” Gli chiesi.
Dennis sospirò e scosse la sua testa di forma classica.
“Lui era ignorante. Lui disprezzava grande maestro
olandese Vermeer e ha detto che Rembrandt era omosessuale.”
“Beh” l’ho rassicurato “io questa grane non gliele darò.”
Abbiamo proseguito e il paesaggio filava via di lato.
E benché a fine carriera tradisse pecche nel gioco e isterismi,
Dennis fu un perfetto gentiluomo,
il perfetto compagno di viaggio.
Esempio, non pescò più
di quattro gelatine dal sacchetto aperto in mezzo a noi,
fu spiritoso e chiarificatore senza mai
abbassarsi al nome buttato lì o ai pettegolezzi da spogliatoio.

Verso il confine belga sentii nella voce
di Dennis una nota stanca, così per conciliargli il sonno
passai dai classici del Rock a easy listening. Solo vicino
alla periferia della città si riscosse
e guardo il suo rolex “Arriveremo proprio un pelo” disse.
“Perché non si cambia in macchina, ché la lascio
giù al campo?” gli proposi. “Buon piano” rispose, e
sgattaiolò dietro. In coda al mio occhio fu
un contorsionismo biancorosso, come Babbo Natale in una
trappola per tassi, anche se è chiaro che gli lasciai una
totale privacy, perché da buon autista di professione uso
solo gli specchietti laterali, mai il retrovisore. Un due tre
e si calò sul sedile al mio fianco, attento a non
graffiarmi la plancia coi tacchetti. “Ecco lo stadio”
dissi, svoltando in una viale affollato tutto pieno di sciarpe
e bandiere. Dennis corricchiò via verso il tornello,
oltre il quale i riflettori brillavano come la luce
di una galassia lontana.

E adesso debbo confessare che il signor Bergkamp fu
solo uno delle decine di Dennis approdatimi
a fianco sulla mia berlina media. Dennis
Healey, Dennis Hopper, Dennis Potter, Dennis Lillie,
il sottovalutato produttore discografico Dennis Bowell,
e tanti, tanti altri. Una volta portai Dennis Tatcher
dal distributore di Leicester Forest Est all’ippodromo
di Ludlow, e fu uno spasso dall’inizio alla fine, anche se
dovetti chiedergli di non fumare, e, chiaramente, di non
nominare mai la donna che ha introdotto la rabbia
nel Sud Yorkshire.

******************

Simon Armitage è nato nel 1963 ed è una delle figure di punta della nuova poesia europea. Seguito con incondizionati consensi della critica fin dal suo esordio avvenuto nel 1989 con la raccolta Zoom!, ha pubblicato a soli trentotto anni una raccolta di Selected Poems, appena tradotte in Italia da Luca Guerrieri per Mondadori. Ha pubblicato nove volumi di poesia e scrive anche per la radio, la televisione e per il cinema. Attualmente insegna alla Manchester Metropolitan University e ha pubblicato con Robert Crawford la Penguin Anthology of Poetry from Britain and Ireland since 1945. Stanno per uscire per la Faber & Faber due suoe nuove raccolte di poesie. E’ stato premiato al London’s Royal Festival Hall nel 1993. La poesia di Armitage si afferma per la forte aderenza al reale, che si realizza sia sul piano del linguaggio – prevalentemente di registro basso, parlato -, sia su quello dei contenuti – nei quali il poeta privilegia situazioni quotidiane, di nitida concretezza, segnate dall’epoca. Il suo procedere è spesso narrativo – con felicissimi passaggi da brevi flash a vere e proprie soluzioni poematiche – e il suo campo d’azione è vastissimo, poiché sa catturare con inesausta energia personaggi, luoghi ed eventi che si accavallano sulla pagina, e incalzano nel dettato con singolare efficacia e ricchezza di suggestioni. Ma non di meno il suo stile è raffinato, il suo controllo stilistico impeccabile. Un grande merito di Armitage, che è anche una indicazione precisa per la poesia d’oggi, è dunque nella sua capacità di coniugare un elevato livello di leggibilità con l’esattezza della parola e della forma. E tutto questo mentre ci racconta, con l’acutezza e il sentimento del poeta che osserva e partecipa, con disincanto e a volte con violenza, la nostra storia, il mondo in cui siamo immersi

il sangue di oggi

Il sangue di oggi è per il clima.
Non si sente più canto di uccelli,
mentre gli uomini
confondono proteste e soluzioni.
Non è possibile essere come noi.

Per chi lavora ogni giorno,
a chi non ha lavoro,
a chi esibisce danaro, pelle unta
e finirà vitello grasso.

Il sangue di oggi
per le spose di maggio a settembre
smarrite a giugno, mai più ritrovate.
E’ per i nostri figli: possano
essere migliori non ostante noi.

Alle ideologie morte consunte,
agli dei mentitori,
ai caduti sui binari,
ignoti e maledetti dai ritardi.

Il sangue di oggi
è aria cruda di calendario,
è per la pioggia
che non sono mai stato
e all’amore così vicino e lontano.

Il sangue di oggi non vada perduto
né sia circolato invano.

Ascolta e Leggi: The Carousel Waltz e decennale di Simone Cattaneo

Tu sei un poeta. Ma chi lo vuole un poeta? A chi serve un poeta? (Flavio Santi)

I tuoi libri, uno solo forse, li trovi sottoprezzo in rete, come il tuo ricordo. (Flavio Almerighi)

*

Altro che mobilità sociale
vorrei venire su quel seno al silicone che una ragazzina
mostra ballando in mezzo al locale, mi pare di avere una
collana di orecchie umane, vorrei fare il kamikaze per mettermi
in evidenza, dimostrare quanto valgo, e già la vedo dileguarsi
nei bagni a spompinare a più non posso dei suoi bastardi coetanei,
sono troppo vecchio anche per questo. Esco dal locale, compro in un
supermercato una scatola di tonno e creo una sicura lama affilata.
Aspetto il primo maiale che passa.

*

Appesa per le caviglie ad un albero del viale
ho incontrato per la prima volta l’unica donna che ho mai amato,
avrei voluto proseguire ma mi ha chiesto uno sguardo
mi ha domandato di guardare un fiume inesistente fra le stelle,
quindi mi sono arrampicato fino all’orlo del suo viso ma
non si è scomposto, nulla del mio corpo mi ha nascosto.
Immersa nel suo odore mi ha aperto il petto così che
potessi sentire il suono del colore,
colmo di paura ho promesso che avrei imparato ad aspettare,
ho fatto un giro intorno all’albero e
la mia donna era svanita, rapita dalla frutta candita di
un’isola caraibica. Mi sono legato per le caviglie ad un lampione
per capire la sua prospettiva e riallineare la mira,
ammassati intorno a me sbavavano dei cani, con le mascelle di vetro
in fiamme ma la terra si è asciugata e la festa è finita.
Non ho più incontrato una donna così bella, forse sì,
è la carne che tutte le notti mi dorme accanto
persuasiva nelle cosce, elegante nelle mani, luce morale nei fianchi
ripiegata e indistinta come uno scheletro di pesce.
Sono certo, siamo l’uno la proposta dell’altra.

*

Aveva un piede valgo e studiava diteggiatura
mentre tramutava Ketamina liquida in cristalli per poi sniffarla
e mi chiese ad un tratto facendosi serio cosa ne pensassi
della situazione mediorientale e delle scarse risorse energetiche planetarie.
Mi sono tuffato sulla poltrona di pelle marrone del salotto e
ho chiesto un po’ di vino. Inizia la partita dell’Italia fra poco,
tutti in piedi a cantare qualcosa di diverso mangiandosi solfeggi e
salame: è solamente un’altra serata di calcio contaminato,
in attesa di una nuova leucemia.

*

La mia donna crea dipinti con i suoi capelli castani
sul mio petto scuro,
aspetta sulla soglia della mia carne ogni suo errore,
mi conforta dicendomi che soffrirò da solo,
cadrò e non mi solleverò,
ucciderò sette persone e avrò tanti giorni di carità
quanti un cane in un canile, rimarrò solo senza più denti,
farmaci né sentimenti
finirò come quello straniero incontrato un lunedì pomeriggio
in un caffè di Milano centrale.
Più o meno la sua vita era andata così – I had a woman,
she left me –. Nulla più di questo.

***********************************

SIMONE CATTANEO (Saronno, 1974-2009) ha pubblicato due libri: Nome e soprannome (Atelier, 2001) e Made in Italy (Atelier 2008). I libri editi sono stati riproposti insieme all’inedito, ultimo libro: Peace & Love (Il Ponte del Sale, 2012).