Ascolta & Leggi: Paolo Fresu in concerto, Alfonsina Caterino tre inediti

Queste nuove poesie di Alfonsina Caterino hanno un incedere dimesso eppure potente. Prendono corpo dalla vita e lo scrivere … scivola fuori dal quadro, coerentemente col modo di intendere e vivere la vita da parte dell’autrice, con tormento e con amore. Un ridare ogni giorno corpo e speranze, che altrimenti non avrebbe. Buona lettura.

… SCIVOLA FUORI DAL QUADRO

il tempo Ghiotto
di luce imprigiona nelle rughe
l’attesa e
squarcia sottopelle i colori
divenendo corpo dipinto,
memoria che smagrisce

Schiodata intorno
la cornice lega
Itaca inafferrabile
alla radice
che svapora

Resta tellurica follia
e segnale in campo
il crollo delle mura che muta
fuori logica e gestazione
ogni ordine
mentre plana rinascendo
una danza di fuoco

*

… FITTIZIA LA PELLE

sopravvive ai pesi delle convalescenze
lunghe funestate dai giocattoli vedovi
delle primavere
sbattute tenere tombe
nel grembo della terra

Smarrita pelle fittizia,
tra disgusto e senso introvabile
sopravvive male giorno
nel contenitore
mai prosciugato seme
interrato nella pausa dei fiori

E tu Angelo
postato nella rete
spinata dei luoghi in Croce
nel tentativo di bilanciare gli equilibri
con le ali
non obliare le spalle impassibili
accoppiate sotto i cuori degli uomini
infelici che mutano e saltano
nel vuoto
dei loro scavi…

*

… SCORCIO INEGUAGLIABILE

il lato spento
oltre il luogo degli spilli
inscena rimozioni e teoremi
sulla carne sbavata
misera casa complice della fisionomia
contenuta d’acqua
mai sfuggita luce
che affiora insolita
superficie

Non smette di fissarmi
E’ voce ineguagliabile
lo scorcio rimbalzato fra
fotogrammi vivi
follia e resistenza
delle aste perse per un centesimo
disegnando sotto i piedi un ritorno
d’orme pieno di sogni
Ricorrenti e inutili

Resta vigile sul rigo
la poesia spezzata. E’
scorcio incidente la sua ombra
tessuta d’uomini
che sfumano le raffiche in mano
oltrepassando scene evidenti
fissate fuori dall’immobilità
per trasmutare i
pilastri in terra …
*********************

Alfonsina Caterino insegna a Roma.
Ha pubblicato nel 2006 la raccolta poetica COME UNA FARFALLA (ed. Il Filo, Roma).
Nel 2009 ha pubblicato il racconto “LA CASA DI ZUCCHERO” sul periodico Narrazioni e nel 2011 la silloge poetica, “NEL TEMPO DELLA GUARDIA” ed. Dante Alighieri Napoli.
Nel 2014, il suo racconto “LA LUCE SOVVERSIVA” è stato segnalato al concorso internazionale di Poesia e Prosa, indetto dalla Casa Editrice Puntoacapo e pubblicato dalla stessa.
Alfonsina Caterino

Domani farà Lume a marzo

Domani mattina si vedrà
se l’ideogramma tracciato
sul soffitto è ancora là;
quest’aria nuova,
satura di profumi e rami falciati,
rende minimo l’ottuso disprezzo
di molti viventi per la realtà.
Eppure durante la notte
è risveglio al buio,
ci si provoca spesso ripensando
il dolore, il desiderio, i postumi
di una cattiva digestione.
L’immobilità non è possibile.
I ragni non hanno profumo.
Il desiderio non vuota il corpo
già pieno e presente
anche in altre stanze,
ogni giorno sporche, dimenticate:
dov’è depressione caspico padana
o all’angolo di casa Usher.
Questa notte è stata
semplice dolore,
domani farà Lume a marzo.

Lom a Mèrz (lume a marzo) 26-27-28 febbraio e 1-2-3 marzo

Molte sono le località romagnole, specie in Appennino, dove si tramanda questa usanza che ha origini Celtiche. Per le campagne, sulle colline, ma anche in molte piazze cittadine verso sera si accendono fuochi propiziatori per fare lume alla primavera in arrivo. Tutti quei fuochi accesi punteggiano le nostre zone, e danno l’idea di un cielo rovesciato sulla terra.
In alcune località gli ultimi tre giorni di febbraio sono anche conosciuti come “i dè dla canucéra”. Secondo la tradizione si credeva che in questi giorni vi fosse un’ora sconosciuta a tutti in cui ogni cosa riusciva male.
Nelle campagne in questi giorni i contadini se ne stavano senza far nulla per paura che andasse loro a male il futuro raccolto.

Ascolta & Leggi: David Bowie & Platone.

Atene 370 A.C.

Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di fango accettando di farsi serva di uomini di fango per potere continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del figlio; quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi da rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua pavidità; quando il cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle?

In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?

Ecco, secondo me, come nascono le dittature.
Esse hanno due madri.
Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia.
L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi,
precipita nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è
pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo .

Tratto da: Platone, La Repubblica – Cap. VIII.

questo mare stupisce

Questo mare stupisce, certo,
arrossisce di vergogna e umanità:
gli sbarazzi lo uccideranno.
Posso immaginare toccando.
Il mare è quel che sento, tutto
quanto contiene, relitti, piante,
bottiglie di memoria, è vivo.
La mia mano uscirà ferita.
La ferita è rossa e butta,
molti dettagli la rendono atroce.
I capelli timidi e senza recapito,
inafferrabili anche volendo essere.
Il mare se li è presi, portati.
Qualcuno li ha raccolti, e chiede.
La questua continua dei notiziari,
ma non è chiaro chi sia vittima.
Il carnefice, assiduo arrotino,
incessantemente di passaggio,
pronto si annuncia
e la strada ride di lui.
Malgrado l’idiozia del tramonto,
sarò onesto, rubo un morso
e ogni giorno è forte
il desiderio di andare a capo.
Sei stata ragazza anche tu,
sai bene di cosa parlo, conosci
ogni ferita legata alle mani.
Un passeggio in riva al mare
rimane aperto. La tua spiaggia
non sarà mai deserta.

ascolti amArgine: Such a same – Talk Talk (1984)

Alla memoria di Mark Hollis, ex cantante dei Talk Talk, deceduto ieri.

Per saperne di più:
https://it.wikipedia.org/wiki/Talk_Talk

Che peccato

E’ un peccato credere di poter fuggire
“Una vita diversa per ogni faccia”
E si cambia
Finché infine non esce un otto
Dici di rilassarmi, ti fisso e basta
Forse non sono sicuro di dover cambiare
Una sensazione che abbiamo in comune
E’ un peccato

Che peccato
Assegnami un numero con rabbia
E’ un peccato
Che peccato
Assegnami un numero di fretta
Che peccato
Questa urgenza di cambiare
Che peccato

Il dado decide il mio destino
Ed è un peccato
Tra queste mani tremanti la mia fede
Mi dice di reagire, “Non m’importa”
Forse dover cambiare sarebbe sfrontato
Una sensazione che abbiamo in comune
E’ un peccato

Mi dici di cambiare, ti fisso e basta
Forse non sono sicuro di dover cambiare
Una sensazione che abbiamo in comune
E’ un peccato

Che peccato…

TESTO ORIGINALE

Such a shame to believe in escape
A life on every face and that’s a change
Till I’m finally left with the eight.
Tell me to relax
I just stare
Maybe I don’t know if I should change
A feeling that we share.
It’s a shame
Such a shame
Number me with rage.
It’s a shame
Such a shame
Number me in haste.
Such a shame
This eagerness to change
It’s a shame.
The dice beside my fate and that’s a shame in these trembling hands.
My faith tells me to react I don’t care

Maybe it’s unkind if I should change a feeling that we share.
It’s a shame
Such a shame
Number me with rage
Tell me to relax
I just stare
Maybe I don’t know
If I should change a feeling that we share.
It’s a shame
Such a shame
Number me with rage
Such a shame write across my name.
Such a shame this eagerness to change.

il bacio in gola

ciascuno insista
nel proprio dialetto fradicio;
qualcuno arricci le ciocche
tentando di riavviare la conversazione,
costasse l’espianto all’interlocutore

sui campi intorno,
sedili e vecchi inginocchiatoi
aspettano un altro natale
(che, poi, non si sa di quale destino)

sia stata o no benevolenza,
ho baciato in gola
umori scoscesi da lupa

Ascolta & Leggi: Juri Camisasca, Il carmelo di Echt – JIŘÍ ORTEN, poesie.

Ringrazio la Prof.ssa Alfonsina Caterino per la segnalazione di questo poeta dimenticato.

La ragazza nuda

Si tiene al tavolo, il tavolo è nelle vesti
ha vecchi versi nel ventre del cassetto
e fermo sta sulle sue gambe.
Di che sorridete?
Pure avendo al di là delle sue parolette,
di dentini-parole d’un bianco così puro,
una linguetta rosa, raro fugace momento,
anche Dio lei possiede!

Ah lo so quel sorriso! Pudore. E una grande
sconfitta, di cui saccheggia la vita i frutti,
ecco i frutti rotondi e maturi.
Fanciulla con la mano sui teneri piccoli seni,
con ciuffetti di brezza tra le ascelle
e sul grembo, che non significa sempre
quello a cui vi seduce e che non ha,
trema nella trepida nudità.

Presto buio sarà, tagliente come una lama,
e lei teme e non vede
che la terra che sta e non crolla,
piú di tutte le cose la ama.
E finestra e tavole e letto invidiano la terra
dove in ginocchio lei posarsi dovrà.

Presto buio sarà, e polvere sulle mie sillabe,
polvere sui miei fianchi, polvere greve, densa,
che dovunque s’attacca, polvere che bacia
i petali del fiore, del fiore che non si piega.
Meraviglioso fiore! Ma perché
ai suoi steli laggiù così sottile?

E di che sorridete
al di là di parolette canterine,
là dove Dio possedete?
Si tiene al tavolo, il tavolo è nelle vesti
e dal cassetto su lui una vertigine piomba,
ma alla fine sta fermo sulle sue gambe.

*

La cosa chiamata poesia

La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?
In solitudine singhiozzare
e tanto volere bene

Senti? È il suo ticchettio
cosí disperato giocare
La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?

Forse lo sai che spesso
la parola è troppo sciocca
ma Dio ti chiude la bocca
e altro non ti può dare

La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?

*

Di chi sono?

Io sono dei piovaschi e delle siepi
e delle erbe chinate dalla pioggia
e della chiara canzone che non gorgheggia,
del desiderio che sta chiuso in lei.
Di chi sono?
Io sono di ogni piccola cosa smussata
che mai spigoli ha conosciuto,
dei piccoli animali che reclinano la testa,
sono della nuvola quando è straziata.
Di chi sono?
Io sono del timore che mi ha tenuto
con le sue trasparenti dita,
del coniglietto che in un giardino in penombra
esercita il suo fiuto.
Di chi sono?
Io sono dell’inverno ostile ai frutti
e della morte, se il tempo lo chieda,
io sono dell’amore, di cui sbaglio la porta,
al posto di una mela ai vermi lasciato in preda.

****************************
Jiří Orten (vero nome era Jiří Ohrenstein) (Kutná Hora, 30 agosto 1919 – Praga, 1º settembre 1941) è stato un poeta ceco. Della sua produzione poetica pubblicò le raccolte Čìtanka jaro, Crestomazia primavera del 1939; Cesta k mrazu, Viaggio verso il gelo del 1940; Ohnice, Malerba del 1941; rimasero invece inedite altre due raccolte: Zcestì Disvio e Elegie pubblicate solo nel 1947 nel volume Opere curato da V. Černý. Nonostante al centro della sua opera stia la poesia, si cimentò anche nella prosa e nel teatro, scrisse recensioni e saggi letterari. Da segnalare la prosa Eta, Eta, žlutì ptàci: Eta, eta, uccelli gialli, in seguito rielaborata nel romanzo Malà vìra, Piccola fede pubblicato nel 1966. Si conservano anche tre quaderni di circa 1500 pagine manoscritte ai quali dava nome a seconda della copertina (Libro azzurro, Libro zigrinato, Libro rosso). Questi diari furono pubblicati nel 1958, e hanno gettato nuova luce sulla poesia di Orten, poiché mettono a nudo la stretta connessione della sua creazione poetica con la sua vicenda personale, il suo bisogno esasperato di estrinsecare quotidianamente la sua angoscia esistenziale, ma soprattutto perché svelano la complessità del suo mondo interiore e della sua immaginazione poetica.

Juri Camisasca, pseudonimo di Roberto Camisasca (Melegnano, 9 agosto 1951), è un cantautore italiano.

Il Senio

Il Senio c’è sempre stato.
Perfino la trattoria
dove andavo a pranzo
nei momenti importuni di solitudine.
Un tempo scorreva un po’ più dentro,
trovammo molti Longobardi
addormentati senza essersi accorti
che il torrente stava deviando.
Mio nonno ebbe l’idea,
non proprio azzeccata,
di farsi casa vicino all’argine:
ancora oggi tutti ricordano
il lungo, sciupato, autunno inverno
della Linea Gotica.
L’Emilia lo attraversa
su un ponte sempreverde, scavalca
molti sassi, acqua stagnante,
correnti impetuose da far paura
due, tre volte l’anno
se non sta il tempo.
Il Senio ha sempre funzionato,
madre, padre, semplice conoscente,
fratello no: Caino e Abele
sono stati un cattivo esempio.
Il Senio va via
con poca acqua, sempre in piena
per tutto quanto lascia.

Gioielli Rubati 26: Vincenzo Costantino Cinaski – Irene Rapelli – Luca Yok Parenti – Agostino Resta (AGORES) – Riccardo Mannerini – Amina Narimi – Emilia Barbato – Bianca Bi.

SOLO PER ME

Il mondo
mi ha regalato il mondo
con tutte le sue contraddizioni e le sue
curve.
La vita
mi ha cercato
solo quando mi nascondevo.
La luna
mi ha trovato
in preda a un furto.
Le stelle
hanno illuminato
solo perché non avevano niente da fare.
Il cielo
ha cercato
di prendermi in giro e io ci ho creduto.
La strada
mi ha stretto la mano
e ci siamo sorrisi.
Finalmente
ho cercato qualcosa di blu
e tra notte e cielo
ho trovato
l’ultimo angelo che mi ha portato via
dall’inferno e dai sentimenti
accontentandosi del semplice fatto che
sono vivo.
E ringrazio Dio che lo sia anche lei
per me
solo per me
e forse anche per voi.

di Vincenzo Costantino, qui:
SOLO PER ME

*

LUX AETERNA

La marea cacofonica bisbiglia
iati, mezzi toni, sfumature,
lampi d’oscurità nel parapiglia
dell’adulto, l’assedio di paure

dissezionando vuoti, tra le ciglia
l’inizio di matematiche pure
o l’equazione nulla della griglia
che figge nei celesti, sulle alture

mappe e boschi di stelle troppo alieni
vicini forse a bambini rapiti
nell’incanto lunare che si gira

sfasando idee, spaziosi sereni
appena cedono sogni attecchiti
dove la morte sposa si ritira.

di Irene Rapelli, qui:
https://ilcielostellatodentrodime.blog/lux-aeterna/

*

costo

un verso non costa
può inabissarsi
o scontrarsi con la roccia della vita
ritornando al sole col sole
o può silenziarsi
in tante tracce come petali
nell`atto del nutrirsi
dell`abbeverarsi
o annichilirsi in un chiostro
nella soffusa bellezza d`arte
mettila da parte
questa poesia non ha prezzo
e non ha valore-
daglielo tu
daglielo tu un volto umano
una quadratura del cerchio
o un terribile pentimento.

di Luca Yok Parenti, qui:
https://yoklux.wordpress.com/2019/02/11/costo/

*

Giorni che passano

giorni
che passano
e niente di tutto questo
io ho voluto
desiderato,
volti
e passioni
capitate e vissute
rimpianti
perduti,
desideri campati un solo giorno
o mesi
anni
istanti
al tramonto sfumati,
questo è la vita quando la capisci
altro che coppia perfetta
mezza mela
l’uno per l’altra e viceversa
o altro,
e poi lo scrivi per chissà quale sollievo

di Agostino Agores Resta, qui:
https://agoressblog.wordpress.com/2019/01/31/giorni-che-passano/

*

EROINA

Come potrò dire
a mia madre
che ho paura?
La vita,
il domani,
il dopodomani
e le altre albe
mi troveranno
a tremare
mentre
nel mio cervello
l’ottovolante della critica
ha rotto i freni
e il personale
è ubriaco.
Ho paura,
tanta paura,
e non c’è nascondiglio possibile
o rifugio sicuro.
Ho licenziato
Iddio
e buttato via una donna.
La mia patria
è come la mia intelligenza:
esiste, ma non la conosco.
Ho voluto
il vuoto.
Ho fatto
il vuoto.
Sono solo
e ho freddo
e gli altri nudi
ridono forte
mentre io striscio
verso un fuoco che non mi scalda.
Guardo avvilito
questo deserto
di grattacieli
e attonito
vedo sfilare
milioni di esseri di vetro.
Come potrò
dire a mia madre
che ho paura?
La vita,
il suo motivo,
e il cielo
e la terra
io non posso raggiungerli
e toccare…
Sono sospeso a un filo
che non esiste
e vivo la mia morte
come un anticipo terribile.
Mi è stato concesso
di non portare addosso
vermi
o lezzi o rosari.
Ho barattato
con una maledizione
vecchia ma in buono stato.
Fu un errore.
Non desto nemmeno
più la pietà
di una vergine e non posso
godere il dolore
di chi mi amava.
Se urlo chi sono,
dalla mia gola
escono deformati e trasformati
i suoni che vengono sentiti
come comuni discorsi.
Se scrivo il mio terrore,
chi lo legge teme di rivelarsi e fugge
per ritornare dopo aver comprato
del coraggio.
Solo quando
scadrà l’affitto
di questo corpo idiota
avrò un premio.
Sarò citato
di monito a coloro
che credono sia divertente
giocare a palla
col proprio cervello
riuscendo a lanciarlo
oltre la riga
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell’infinito.
Come potrò dire a mia madre
che ho paura?
Insegnami,
tu che mi ascolti,
un alfabeto diverso
da quello della mia vigliaccheria.

di Riccardo Mannerini, qui:
http://accendiamo-le-idee.blogspot.com/2013/11/sabato-in-poesia-eroina-di-riccardo.html

*

Una radura di neve

C’è stata una ferita, ora c’è intimità.
Un passo indietro è quasi notte
e lei trema, vista di spalle
ma, prima degli occhi, ricuce
le cose quiete,
il miracolo di ogni colore.
Nel mezzo punto non entra il vento,
non scompare la pena.
Molto, molto più avanti,
una radura di neve
è il dorso della sua mano–

ha le dita forate e l’aria passa
e i fori danno un suono,
rettangoli azzurri, confini viola, e i fiumi
sono fili sul bianco.
Dà pace guardare;
piccoli gruppi di tuniche azzurre,
radunate come un pesce,
tutte in fiore,
parole sorelle con cappucci d’oro,
mentre un obbedisco copre il suono
della voce, lentamente, tra i coralli,
fino a fondersi in attesa.

Un passo indietro è quasi notte.
Nel mezzo punto non entra il vento,
non scompare la pena.
Molto, molto più avanti,
una radura di neve
è il dorso della sua mano.

Si cammina per ore, o in pochi passi
la metà del cielo è superata.
Nella manica è scesa la neve,
e, come tutti i doni,
sempre più delicatamente.

di Amina Narimi, qui:
https://aminanarimidotcom.wordpress.com/2019/02/09/una-radura-di-neve/

*

in alto, guardando tra i tetti
di un caffè francese o anche
in certi film del maestro Ozu,
la notte si vela quel poco
di bianco e un breve sogno
mi prende per mano, suoni,
foglie di lunaria dico, parole
fumose, sono trasparenza
un diorama di fili d’angelo.

di Emilia Barbato, qui:
https://emiliabarbato.wordpress.com/2019/01/13/3241/

*

BIANCA

le nostre fiere maiuscole
più non proteggono
in questa solitudine dei nomi
che bastano a se stessi.
Bianca:.
i punti sono bocche lussuriose
dove si franano tutte
le parole del mondo.
è necessario salutare bene
ogni tempo ora, e piano piano.
le lettere vagano porose e fratturate
come noi umani
che se non ci teniamo per mano
non riusciamo a parlare
e indichiamo le cose per poter
r’esistere un poco come residui
di testo, come sacri enigmi
di uno scarabocchio
che quando incurva sul foglio
contornando il vuoto
allora sole è luna.

di Bianca Bi, qui:
https://biancabiblog.wordpress.com/2019/02/11/bianca/

*****************************************************

Al Sole di Carolina Almerighi (featuring Miù Adriano II)

Al sole

Sembra stia per piovere
Cielo grigio piombo
Ricolmo di cattiveria
Sfoga le tue ire
Funeste come il tempo
Come il temporale sul mare

Come da bambina
In spiaggia,
Sorseggia la bibita fresca

Esci dalla finestra
Ricorda che a porte chiuse
Vince solo la nostra squadra
Del cuore.

Carolina “Kerol” Almerighi