ascolti amArgine: A Hard Rain’s A-Gonna Fall – Bob Dylan (1962)

Scritta al tempo della crisi dei missili a Cuba nell’ottobre del 1962, secondo molti si riferisce al fall-out atomico, la caduta come pioggia delle scorie radioattive in seguito all’esplosione di una atomica. Probabilmente, però, come sottolineato dallo stesso Dylan in più di un’occasione, la canzone trascende questa semplice interpretazione pur confermandola, per assurgere ad un significato più universale e ricco di sottintesi biblici e cabalistici (come l’uso di numerazioni inusitate tipiche della Bibbia: “Ho inciampato sul fianco di dodici montagne nebbiose, ho camminato e strisciato su sei strade tortuose, ho camminato nel mezzo di sette tristi foreste, sono stato di fronte a dodici oceani morti…”).
È sicuramente una delle canzoni di Dylan maggiormente influenzate dalle visioni apocalittiche di molte parti delle Sacre Scritture.

Versione italiana di Riccardo Venturi
UNA DURA PIOGGIA CADRÀ

E dove sei stato, figlio mio dagli occhi azzurri?
Dove sei stato, mio caro ragazzo?
Ho inciampato sul fianco di dodici montagne brumose,
Ho camminato strisciato su sei strade tortuose
Sono andato dentro a sette cupe foreste,
Sono stato davanti a una dozzina di oceani morti,
Mi sono addentrato per diecimila miglia in una tomba,
E una dura, una dura, una dura, una dura,
Una dura pioggia cadrà.

E che cosa hai visto, figlio mio dagli occhi azzurri?
Che cosa hai visto, mio caro ragazzo?
Ho visto un neonato circondato dai lupi,
Ho visto un’autostrada di diamanti, ma non c’era nessuno,
Ho visto un ramo nero che stillava sangue,
Ho visto una stanza piena d’uomini coi loro martelli sanguinanti,
Ho visto una scala bianca tutta coperta d’acqua,
Ho visto diecimila bocche che parlavano con le lingue spezzate,
Ho visto pistole e lame aguzze in mano a dei bambini,
E una dura, una dura, una dura, una dura,
Una dura pioggia cadrà.

E che cosa hai udito, figlio mio dagli occhi azzurri?
Che cosa hai udito, mio caro ragazzo?
Ho udito il rombo d’un tuono che ruggiva un allarme,
Il boato d’un’ondata che avrebbe sommerso il mondo intero,
Ho udito cento tamburini con le mani in fiamme,
Ho udito cento che sussurravano e nessuno che ascoltava,
Ho udito una persona morire di fame, e molti che ridevano,
Ho udito il canto di un poeta che moriva nelle fogne,
Ho udito il rumore di un clown che piangeva nel vicolo,
E una dura, una dura, una dura, una dura,
Una dura pioggia cadrà.

E chi hai incontrato, figlio mio dagli occhi azzurri?
Chi hai incontrato, mio caro ragazzo?
Ho incontrato un bambino accanto a un cavallino morto,
Un uomo bianco che portava a spasso un cane nero,
Ho incontrato una ragazza col corpo che bruciava,
Ho incontrato una bambina che mi ha dato un arcobaleno,
Ho incontrato un uomo ferito in amore,
Ho incontrato un altro uomo ferito d’odio,
E una dura, una dura, una dura, una dura
Una dura pioggia cadrà.

E che farai adesso, figlio mio dagli occhi azzurri,
Che farai adesso, mio caro ragazzo?
Me ne tornerò indietro prima che cominci a piovere,
Andrò nel profondo della più buia foresta,
Dove c’è tanta gente con le mani vuote,
Dove le pillole di veleno straripan le loro acque,
Dove la casa nella valle è come una sporca e umida prigione,
Dove il volto del boia è sempre ben nascosto,
Dove la fame è brutta, dove le anime sono dimenticate,
Dove nero è il colore, dove zero è il numero,
E lo dirò, e lo penserò, e lo affermerò, lo respirerò,
E lo rifletterò da una montagna, così che tutti lo vedano,
Poi starò sull’oceano finché non comincerò a affondare,
Ma conosco bene la mia canzone prima di cominciare a cantare,
E una dura, una dura, una dura, una dura,
Una dura pioggia cadrà.

TESTO ORIGINALE

Oh, where have you been, my blue-eyed son?
Oh, where have you been, my darling young one?
I’ve stumbled on the side of twelve misty mountains,
I’ve walked and I’ve crawled on six crooked highways,
I’ve stepped in the middle of seven sad forests,
I’ve been out in front of a dozen dead oceans,
I’ve been ten thousand miles in the mouth of a graveyard,
And it’s a hard, and it’s a hard, it’s a hard, and it’s a hard,
And it’s a hard rain’s a-gonna fall.

Oh, what did you see, my blue-eyed son?
Oh, what did you see, my darling young one?
I saw a newborn baby with wild wolves all around it
I saw a highway of diamonds with nobody on it,
I saw a black branch with blood that kept drippin’,
I saw a room full of men with their hammers a-bleedin’,
I saw a white ladder all covered with water,
I saw ten thousand talkers whose tongues were all broken,
I saw guns and sharp swords in the hands of young children,
And it’s a hard, and it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard,
And it’s a hard rain’s a-gonna fall.

And what did you hear, my blue-eyed son?
And what did you hear, my darling young one?
I heard the sound of a thunder, it roared out a warnin’,
Heard the roar of a wave that could drown the whole world,
Heard one hundred drummers whose hands were a-blazin’,
Heard ten thousand whisperin’ and nobody listenin’,
Heard one person starve, I heard many people laughin’,
Heard the song of a poet who died in the gutter,
Heard the sound of a clown who cried in the alley,
And it’s a hard, and it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard,
And it’s a hard rain’s a-gonna fall.

Oh, who did you meet, my blue-eyed son?
Who did you meet, my darling young one?
I met a young child beside a dead pony,
I met a white man who walked a black dog,
I met a young woman whose body was burning,
I met a young girl, she gave me a rainbow,
I met one man who was wounded in love,
I met another man who was wounded with hatred,
And it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard,
It’s a hard rain’s a-gonna fall.

Oh, what’ll you do now, my blue-eyed son?
Oh, what’ll you do now, my darling young one?
I’m a-goin’ back out ‘fore the rain starts a-fallin’,
I’ll walk to the depths of the deepest black forest,
Where the people are many and their hands are all empty,
Where the pellets of poison are flooding their waters,
Where the home in the valley meets the damp dirty prison,
Where the executioner’s face is always well hidden,
Where hunger is ugly, where souls are forgotten,
Where black is the color, where none is the number,
And I’ll tell it and think it and speak it and breathe it,
And reflect it from the mountain so all souls can see it,
Then I’ll stand on the ocean until I start sinkin’,
But I’ll know my song well before I start singin’,
And it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard,
It’s a hard rain’s a-gonna fall.

letture amArgine: visto che fa caldo…

Incoffessabile

E’ tanto adorabile introdurmi nel suo
letto, mentre la mia mano vagante
riposa, trascurata, tra le sue gambe,
e sguainando la colonna tersa – il suo cimiero
rosso e sugoso avrà il sapore delle fragole,
piccante – presenziare all’inaspettata
espressione della sua anatomia che non sa
usare, mostrargli l’arrossata incastranatura
all’indeciso dito, somministrandogliela
audacemente con perfide e precise dosi.
E’ adorabile pervertire un ragazzo, estrargli
dal ventre vaginale quella ruggente tenerezza
tanto simile al rantolo finale di un agonizzante,
che è impossibile non condurlo a sfinirsi mentre eiacula.

Ana Rossetti

Casida Della Donna Distesa

Vederti nuda è rievocare la terra.
La terra piana e priva di cavalli.
La terra senza un giunco, forma pura
chiusa al futuro: confine d’argento.

Vederti nuda è comprendere l’ansia
della pioggia che cerca fragili fianchi,
o la febbre del mare dal volto immenso
che non trova la luce della sua guancia.

Il sangue risuonerà nelle alcove
e verrà con spada di folgore,
ma tu non saprai dove si celano
il cuore di rospo o la violetta.

Il tuo ventre è uno scontro di radici,
le tue labbra un’alba senza profilo,
e sotto le tiepide rose del letto gemono
i morti, in attesa del loro turno.

Federico Garcia Lorca

*

Invitami a trascorrere la notte nella tua bocca
raccontami la giovinezza dei fiumi
premi la mia lingua contro il tuo occhio di vetro
dammi a balia la tua gamba
e poi dormiamo, fratello mio,
perché i nostri baci muoiono più veloci della notte. (…)

Joyce Mansour

Depressa e sola

Ti trovo al bar depressa e sola: “Ciao,
posso offrirti qualcosa da bere?”
Lo sguardo che mi lanci mi consola,
scorre dello champagne nel tuo bicchiere.

Togli il cappotto, ti scosti la stola,
slacci un bottone e vedo il cratere
che dai tuoi seni m’infuoca la gola e
al magma mi conduce del piacere.

Accavalli le gambe. E’ un invito
audace per me che non sono di creta.
Lo champagne non è ancora finito

e già la mia mano sfiora la seta.
Il gioco, lo so, rimane impunito,
scendo e raggiungo la morbida meta.

Chiara Moimas

*

La nudità dei fiori è il loro odore carnale
Che palpita e si eccita come un sesso femminile
E i fiori senza profumo sono vestiti di pudore
Essi prevedono che si vuol violare il loro odore
La nudità del cielo è velata di ali
Di uccelli che planano d’attesa inquieta d’amore e di fortuna
La nudità dei laghi freme per le libellule
Che baciano con azzurre elitre il loro ardore di spume
La nudità dei mari io la adorno di vele
Che esse strazieranno con gesti di raffica
Per svelare il loro corpo allo stupro innamorato di esse
Allo stupro degli annegati ancora irrigiditi d’amore
Per violare il mare vergine dolce e sorpresa
Del rumore dei flutti e delle labbra appassionate.

Guillaume Apollinaire

ascolti amArgine: Real Men – Joe Jackson (1982)

Night and Day è il disco capolavoro di Joe Jackson e, sinceramente, uno dei più belli degli anni ottanta. Uscì alla vigilia dei mitici mondiali di Spagna. A una prima facciata molto mossa (Day) corrisponde una seconda facciata molto più rarefatta e riflessiva (Night). Un melting pot riuscitissimo di cool jazz, ritmi latini, musica popolare. Potevo vincere facile scegliendo la stra famosa Steppin’ Out, propongo invece un brano del lato “notte”, lungo, impegnativo, che affronta in modo coraggioso per quei tempi il tema dell’omosessualità. Piuttosto buona la cover anni novanta di Tori Amos

Veri uomini

Riporta la mente indietro, non ricordo di preciso a quando
ad un periodo in cui sembrava sempre
che fossimo solo noi e loro
ragazze che si vestivano di rosa
e ragazzi che si vestivano di azzurro
ragazzi che sono diventati uomini migliori
di me e te

Cos’è un uomo oggi, cosa significa uomo?
E’ rude e brusco?
E’ colto e pulito?
Oggi tutto cambia e deve cambiare ancora di più
perchè pensiamo di stare migliorando
ma nessuno ne è davvero sicuro

E va così, va e viene
Ma ogni tanto ci chiediamo chi siano i veri uomini

Vediamo ragazzi carini ballare a coppie
Orecchino dorato, abbronzatura dorata
Capelli cotonati
Sono tutti etero, sicuramente
Tutti i gay sono dei macho
Non vedi i loro vestiti di pelle come sono lucidi?

Non vuoi sembrare stupido, non vuoi offendere
perciò non chiamarmi frocio
a meno che tu non sia un amico
allora se sei alto, bello e forte
puoi indossare l’uniforme e giocare con me

E va così, va e viene
Ma ogni tanto ci chiediamo chi siano i veri uomini

E’ il momento di aver paura, il momento di cambiare
non so come trattare una ragazza
non so come essere un uomo
Il momento di ammettere, ciò che tu chiami sconfitta
perchè ci sono donne che ti superano ora
e tu ti stai trascinando

Un uomo costruisce un fucile, un uomo va in guerra
un uomo sa uccidere e un uomo sa bere
e andare a puttane
Uccidi tutti i neri, uccidi tutti i rossi
e se ci sarà una guerra tra i sessi
non resterà più nessuno

E va così, va e viene
Ma ogni tanto ci chiediamo chi siano i veri uomini

Testo originale

Take your mind back, I don’t know when
Sometime when it always seemed
To be just us and them
Girls that wore pink
And boys that wore blue
Boys that always grew up better men
Than me and you

What’s a man now, what’s a man mean
Is he rough or is he rugged
Is he cultural and clean
Now it’s all change, it’s got to change more
Cause we think it’s getting better
But nobody’s really sure

And so it goes, go round again
But now and then we wonder who the real men are

See the nice boys, dancing in pairs
Golden earring golden tan
Blow-wave in the hair
Sure they’re all straight, straight as a line
All the gays are macho
Can’t you see their leather shine

You don’t want to sound dumb, don’t want to offend
So don’t call me a fagot
Not unless you are a friend
Then if you’re tall and handsome and strong
You can wear the uniform and I could play along

And so it goes, go round again
But now and then we wonder who the real men are

Time to get scared, time to change plan
Don’t know how to treat a lady
Don’t know how to be a man
Time to admit, what you call defeat
Cause there’s women running past you now
And you just drag your feet

Man makes a gun, man goes to war
Man can kill and man can drink
And man can take a whore
Kill all the blacks, kill all the reds
And if there’s war between the sexes
Then there’ll be no people left

And so it goes, go round again
But now and then we wonder who the real men are

alba pomeridiana

è prassi attraversare
un buon tempo pomeridiano
dove non si pianifica
se o con chi sia amore, ma
sì pensare alle prossime vacanze
lontane da qui,
lontane quanto le ultime
nel ronzio di un refrigerio

tra qualche colpo di tosse
un cane affronterà l’infinito,
l’essere non essere universale,
come fosse facile filosofare
senza aver vissuto;
ma un seno ignoto continua
a superare stecche di balena

nell’alba pomeridiana
niente è più bello,

pensando a te

La Nuova Luna

Stasera anche la Luna
ci ha messo il suo,
è arrossita da sedicenne
di fronte allo spettacolo sconfortante
della commedia umana,
tutti col nasino alzato al cielo,
qualcuno ha bestemmiato

altri hanno preferito perdersi
in diverse faccende,
questioni di libertà
dello stesso colore:
inguaribili noi folli,
mia figlia è tornata, stupita,
papà non hai visto la luna rossa?

l’ho vista impallidire,
tornare del solito bianco luna,
anche all’umanità viene concesso
il beneficio del limite.

ATTENZIONE! CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “LA STAFFETTA”

SONO LIETO DI ANNUNCIARE E DIFFONDERE IL BANDO DEL PRIMO CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “LA STAFFETTA”, INDETTO DALLA SEZIONE ANPI DI CASTELBOLOGNESE (RA). L’INTENTO DEL CONCORSO E’ ASSAI NOBILE E IL PRIMO PREMIO STRAORDINARIAMENTE BELLO, PIU’ CHE METTERE LIKE, SCARICATE IL BANDO DI CONCORSO QUI SOTTO CON INVITO A PARTECIPARE, GRAZIE FIN DA ORA.

IL BANDO E’ APERTO A TUTTI, DIFFONDETE! RIBLOGGATE!

BANDO-LA-STAFFETTA-premio-nazionale-di-poesia

ascolti amArgine: White rabbit (1967) Jefferson Airplane

White Rabbit è un brano acid rock contenuto nell’album Surrealistic Pillow (1967) dei Jefferson Airplane. Nel corso degli anni è diventato un brano manifesto del rock psichedelico più acido e corrosivo, e nel 2004 è stato classificato alla posizione numero 478 nella lista delle 500 migliori canzoni di sempre redatta dalla rivista Rolling Stone. Pubblicato come secondo singolo estratto da Surrealistic Pillow nel giugno 1967, il brano divenne il secondo successo da top ten della band, raggiungendo la posizione numero 8 nella classifica statunitense Billboard Hot 100. La traccia è una delle prime canzoni scritte da Grace Slick, composta a fine 1965 o inizio 1966, prendendo apertamente ispirazione dai libri di Lewis Carroll Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio, utilizzando elementi come il cambio di dimensioni dopo aver assunto pillole o bevuto liquidi sconosciuti aggiornandoli nei contenuti alla luce della controcultura anni sessanta per descrivere gli effetti di un “viaggio” sotto LSD. Viene comunemente ritenuto essere un brano profondamente influenzato dalla cultura delle droghe degli anni sessanta, con particolare riferimento agli allucinogeni, come l’LSD e i funghi. Ovviamente il coniglio bianco del titolo (“White Rabbit”) è proprio quello del racconto di Carroll, anche se trasfigurato come metafora della psichedelia.

BIANCONIGLIO

Una pillola ti fa diventare più alta
e una pillola ti rimpicciolisce
e quelle che ti dà la mamma
non hanno proprio nessun effetto
Vai a chiedere a Alice
quando è alta tre metri

E se vai a caccia di conigli
e sai che in questo modo cadrai,
Dì loro che un bruco che fuma il narghilè
ti ha mandato a chiamare
Chiama Alice
quando era così piccola

Quando uomini alla scacchiera
si alzano e ti dicono cosa fare
e tu hai appena preso qualche tipo di fungo
e la tua mente si muove lentamente
Vai a chiedere ad Alice
Penso che lei saprà

Quando logica e proporzione
sono lentamente cadute a terra morte
e il Cavaliere Bianco parla al contrario
e il “tagliatele la testa!” della Regina di Cuori
Ricorda quel che ha detto il ghiro:
“Alimenta la tua mente, alimenta la tua mente”

TESTO ORIGINALE

One pill makes you larger
And one pill makes you small
And the ones that mother gives you
Don’t do anything at all
Go ask Alice
When she’s ten feet tall

And if you go chasing rabbits
And you know you’re going to fall
Tell ‘em a hookah smoking caterpillar
Has given you the call
Call Alice
When she was just small

When men on the chessboard
Get up and tell you where to go
And you’ve just had some kind of mushroom
And your mind is moving slow
Go ask Alice
I think she’ll know

When logic and proportion
Have fallen slowly dead
And the White Knight is talking backwards
And the Red Queen’s “off with her head”
Remember what the dormouse said:
“Feed your head, feed your head”

nessun suono

nella fossa nessun suono,
terra smossa in grossi pezzi,
il nostro terreno è argilloso
tende a spezzarsi
con pochissima polvere:
la cenere è miscuglio
d’ossa non più intestate

quanto è bello il sangue
spruzzato in forma di pensiero
contro vetri chiusi,
impermeabili a voci e aria,
così delicato, indifeso,
quello di un bambino

che il seno a metà nutre stento
infatuazione e sete,
l’agitato cuore in piena
di moti lasciati correre,
non c’è intorno,
solo argini a fiumi vuoti

oggi, quest’anima corpo
ha imparato a tacere

ascolti amArgine: Grace – Jeff Buckley (1994)

La maledizione dei Buckley, il padre, Tim, cantautore e artista geniale e pessimo padre (1947 – 1975) morto a 28 anni. Ancor prima della nascita di Jeff Buckley, Tim abbandonò la moglie per trasferirsi a New York in cerca di fortuna. Il figlio Jeff, grande promessa nello spazio del sospiro di un album (1966 – 1997) morto a 30 anni. Eppure anche Jeff ha lasciato traccia di sé, un unico album di studio nel 1994 da cui fu tratto un singolo grandioso, Grace. Grace fu pubblicato il 23 agosto 1994. Oltre a 7 pezzi inediti, l’album includeva 3 cover: “Lilac Wine”, basata sulla versione di Nina Simone, “Corpus Christi Carol” di Benjamin Britten, e “Hallelujah” di Leonard Cohen, che gli portò il successo per via de “l’eccellente interpretazione”, come la definì il TIME e inclusa da Rolling Stone nella lista “500 Greatest Songs of All Time”. I pareri dei critici furono entusiasti: il Sydney Morning Herald definì il disco un “capolavoro romantico” e un “essenziale lavoro definitivo”. Divenne disco d’oro in Francia e in Australia, successivamente disco d’oro negli Stati Uniti, oltre che ancora disco di platino per sei volte in Australia nel 2006. Grace ottenne, anche, apprezzamenti da musicisti celebri, tra cui Jimmy Page, Robert Plant, Bob Dylan, David Bowie.

C’è la luna che chiede di rimanere
Tanto a lungo così che le nuvole mi portino via
Beh, il mio momento arriva, non ho paura di morire

La mia voce affievolita canta di amore
Ma lei piange per il ticchettio del tempo,
Attendi nel fuoco, attendi nel fuoco

E lei piange sul mio braccio
Camminando per le chiare luci nel dolore
Bevi un po’ di vino che entrambi potremmo andare domani
amore mio

E la pioggia scende e credo sia venuto il mio tempo
Mi ricorda il dolore che potrei lasciare alle spalle
Attendi nel fuoco, attendi nel fuoco

E sento soffocare il mio nome
Così facile da capire e dimenticare con questo bacio
Non ho paura di andare ma va piano
Attendi nel fuoco

TESTO ORIGINALE

There’s the moon asking to stay
Long enough for the clouds to fly me away
Well it’s my time coming, I’m not afraid, afraid to die

My fading voice sings of love
But she cries to the clicking of time, oh, time
Wait in the fire, wait in the fire
Wait in the fire, wait in the fire

And she weeps on my arm
Walking to the bright lights in sorrow
Oh drink a bit of wine we both might go tomorrow
Oh my love

And the rain is falling and I believe my time has come
It reminds me of the pain I might leave, leave behind
Wait in the fire, wait in the fire
Wait in the fire, wait in the fire

And I feel them drown my name
So easy to know and forget with this kiss
I’m not afraid to go but it goes so slow
Wait in the fire, wait in the fire, oh oh yea oh oh oh yeah unh
Wait, wait, wait in the fire, wait in the fire
Wait in the fire, wait ah uh unh ah

letture amArgine: anteprima editoriale di Ancora Barabba di Angela Greco (YCP 2018)

Barabba, più citato che conosciuto in questa epoca di dotta ignoranza, è una figura che merita approfondimento, se non altro per il simbolo leggendario di trasgressione che molti hanno voluto costruirci attorno, e che non corrisponde per nulla allo stato dell’arte e dei fatti.

Scrive papa Benedetto XVI nel suo “Gesù di Nazaret:” In altre parole Barabba era una figura messianica. La scelta tra Gesù e Barabba non è casuale: due figure messianiche, due forme di messianesimo si confrontano. Questo fatto diventa ancor più evidente se consideriamo che Bar-Abbas significa figlio del padre. È una tipica denominazione messianica, il nome religioso di uno dei capi eminenti del movimento messianico. L’ultima grande guerra messianica degli ebrei fu condotta nel 132 da Bar-Kochba, Figlio della stella. È la stessa composizione del nome; rappresenta la stessa intenzione. Da Origene apprendiamo un ulteriore dettaglio interessante: in molti manoscritti dei Vangeli fino al III secolo l’uomo in questione si chiamava Gesù Barabbas – Gesù figlio del padre. Si pone come una sorta di alter ego di Gesù, che rivendica la stessa pretesa, in modo però completamente diverso. La scelta è quindi tra un Messia che capeggia una lotta, che promette libertà e il suo proprio regno, e questo misterioso Gesù, che annuncia come via alla vita il perdere se stessi…

A mio avviso questo nuovo poemetto di Angela Greco rende vera giustizia a questa figura, infatti nella Stazione III scrive:

Impronte nel Getsemani dicono che
non era uno solo
a calpestare terra e preghiere.

La figura dell’alter ego spunta qui in tutta la sua potenza. Ma cos’è Ancora Barabba? E’ il volumetto, il primo, di una collana che si chiama Bocche Naufraghe ed è edito per Youcanprint. E’ un lungo componimento che narra in poesia, vero poemetto, suddiviso in quattordici stazioni, quante sono quelle della Via Crucis. Recentemente è stata avanzata la proposta di aggiungerne una quindicesima, dedicata alla resurrezione di Cristo; Barabba non risorgerà, ma ogni giorno nasce migliaia di volte nella folle replica di vicende umane che iniziano e concludono, sempre allo stesso modo, stessi drammi. Il poemetto così articolato affronta una serie di temi teologici (sì, perché no?), civili e storici davvero ragguardevoli. Tanto in così poco: i conflitti per la terra, le vicissitudini legate al potere e all’istituzione, l’impoverimento progressivo e ineluttabile dei popoli che si lasciano trascinare come agnelli verso pasque di sangue. Molto lamento e nessuna ribellione nell’umanità non più forte e non più fiera, forti inviti a riflessioni ben più profonde delle solite invettive. Sorge spontanea la domanda successiva: ma è così difficile rivedere e sovvertire tutto quanto non vada bene, tutti vediamo l’ingiustizia, la malediciamo, passiamo oltre. E perché nei fatti non facciamo nulla? E qui mi torna in mente un’altra gigantesca figura recente della poesia meridionale e non. Scrisse Danilo Dolci:

Nel mio bisogno di poesia, gli uomini,
la terra, l’acqua, sono diventati
le mie parole.
Non importano i versi
ma in quanto non riesco a illimpidirmi
e allimpidire, prima di dissolvermi,
invece di volare come un canto
l’impegno mi si muta in un dovere.

E Angela Greco, coi suoi versi sempre così pieni e ben fatti, fruibili all’attenta lettura, sembra rispondergli idealmente in questo Ancora Barabba, piccolo grande libro di poesia di cui consiglio caldamente acquisto e lettura.

Flavio Almerighi

BRANI SCELTI
VIII

Non ricordo dove si è perso
quel che fu affidato alle mani
e prima ancora alla volontà;
dove si è rotto l’urlo di rabbia,
che arrossa e gonfia il petto.

Chi altri siamo diventati
su questa strada già segnata,
che arresta il passo di ritorno?

In lontananza s’insanguina il cambiocielo.
Verdetto senza appello
e domani potrebbe essere il mio turno.

XII

La spina preme il costato
e sfioriscono rosa e corona;
il passo col suo rumore di nulla
scava micro solitudini, che
sorpassano risse e parole.

Dalle mani percola sabbia;
la duna segna un nuovo confine,
che sfugge a carte e polizia.

Barabba non è più sicuro
che sia morto un altro al suo posto.

Il libro è reperibile qui:

https://www.youcanprint.it/poesia-generale/ancora-barabba.html

Angela Greco (AnGre) è nata il primo maggio 1976 a Massafra (TA), dove vive. Ha pubblicato: in prosa, Ritratto di ragazza allo specchio (racconti, 2008); in poesia: A sensi congiunti (2012); Arabeschi incisi dal sole (2013); Personale Eden (2015); Attraversandomi (2015); Anamòrfosi (2017); Correnti contrarie (2017); Ora nuda, antologia 2010-2017 (Quaderni di RebStein LXVII,
2017). È ideatrice e curatrice del collettivo di poesia, arte e dintorni Il sasso nello stagno di AnGre (http://ilsassonellostagno.wordpress.com/). Commenti e note critiche sono reperibili all’indirizzo

https://angelagreco76.wordpress.com/