voglio pensare a giorni migliori dopo questi difficili,
alle irrealizzazioni
al continuo cadere dalle ginocchia sbucciate,
voglio pensare di essere amato, ad amare,
a continuare la vita per quanta ne resta,
e che nel rinnovare, da oggi, domani sia meglio
Archivio mensile:marzo 2018
giusto per ricordare
giusto per ricordare
chi fa ancora maturare il grano
e di chi sia la terra, tutta
e se il senno
sia rimasto sulla luna
a fare il matto storto,
per ricordare la ragazza
cui quarant’anni fa
toccai il culo, ma in cambio
mi scoccò un sorriso,
lo sapeva, era solo per farmi bello
con gli amici, adesso
forse finirei in prigione,
e il pauperismo anarchico
molto chic in anni di abbondanza,
le danze, i poeti morti
quelli più morti che vivi,
i socialisti, i preti
dentro cinema parrocchiali,
e ricordare magari chi non c’è più
e chi non si fa più vedere
già dai tempi del diploma,
che bell’inganno il tempo
chiedigli la salvezza dell’anima tua,
Pinelli, Moro, Calabresi
e l’uniforme da trasmettitore,
mamma Guerra Fredda,
il mare dentro Bologna Centrale,
le sigarette pensose di fumo
e tutte quelle camminate perse
a parlare con qualcuno
seriamente, come se il futuro
fosse già stato un’ipoteca,
e giusto per ricordare
molti giorni lasciati morire
aspettando il successivo,
le mille infedeltà
di chi ci insegna
senza farsi riconoscere,
e l’aria, la frutta,
i cavallucci marini,
morti per il progresso
e adesso, adesso
le mancanze
i sensi di colpa
le gobbe porta fortuna
di cui non c’è mai bisogno,
le palle piene di annunci,
i figli sempre più piccoli,
e tutto il così sia
che non è stato
servo della parola
perché già alla prima poesia
mi accorsi di essere nato,
quando si nasce
il primo grido prende fuoco
con violentissima dolcezza
diciamo ci sono,
ci sono,
eccomi qui,
ora dovete fare i conti
anche con me
e già ai primi scritti
sembrò tutto un cesareo
con la benedizione di sangue
e latte che ne consegue,
senza stravaganza alcuna
ma verità e condivisione,
ti guardi piangere e ridi,
mai mi è venuto in mente
di cercare un tornaconto,
ed è fatica:
una fatica benedetta
essere giullare, girare
girovagare inquieto
allontanarsi da ogni padre
ignoto servo della parola
ascolti amArgine: Toxic Girl The Kings of Convenience
Ho sempre considerato i Kings of Convenience una sorta di evoluzione naturale ed europea degli antesignani Simon & Garfunkel. Sono un duo formato da Erlend Øye e Eirik Glambek Bøe, provenienti da Bergen, una città della Norvegia. La loro musica è caratterizzata da sonorità delicate, acustiche, da voci morbide e da complesse evoluzioni armoniche con le chitarre. Entrambi i componenti del gruppo compongono e cantano i brani presenti sugli album. Per saperne di più:
http://www.kingsofconvenience.eu/
Toxic Girl
In the sky the birds are pulling rain
In your life the curse has got a name
Makes you lie awake all through the night
That’s why
She’s intoxicated by herself
Everyday she’s seen with someone else
And every night she kisses someone new
Never you
You’re waiting in the shadows for a chance
Because you believe at heart that if you can
Show to her what love is all about
She’ll change
She’ll talk to you with no one else around
But only if you’re able to entertain her
The moment conversation stops she’s gone
Again
She’s gone, believe at heart that if you can
She’ll change, believe at heart that if you can
The moment conversation stops she’s gone
Again
Kings Of Convenience – Intossicata
Nel cielo gli uccelli attirano la pioggia,
Nella tua vita la maledizione ha un nome,
Ti fa restare sveglio tutta la notte
Ecco perché.
È intossicata da se stessa,
Ogni giorno viene vista con qualcun altro,
E ogni notte ne bacia uno nuovo
Mai te.
Nell’ombra aspetti un cambiamento
Perché nel tuo cuore credi, che se puoi
Mostrarle cosa sia l’amore
Lei cambierà.
Lei ti parlerà con nessun altro intorno
Ma solo se sai intrattenerla
Nel momento in cui la conversazione finisce se n’è andata
Ancora.
Se n’è andata, nel tuo cuore credi che se puoi
Lei cambierà, nel tuo cuore credi che se puoi
Nel momento in cui la conversazione finisce se n’è andata
Ancora.
Semplice diritto
Semplice diritto essere stranieri
dove non ci si ritrova
se non nell’appuntamento effimero
con cui qualcosa viene fatto morire
pur di preservare il grosso
del paese noi lungamente illuso,
malfidato coi poeti trattati da esattori
perché sempre in rosso,
incagliato ogni abitante
nel proprio porto delle nebbie.
Volenti nolenti siamo
ancora a piè fermo, là
dentro un campo minato
cercando, è una volta che fa,
l’inciampo per non saltare.
letture amArgine: poesie di un Suonatore, Franco Bonvini
“Al popolo la musica che merita” scriveva Saramago, certo la poesia è tante cose, ma la musica è imprescindibile. Mi piace pensare a Franco Bonvini come a un “suonatore” più che a un musicista: il suonatore scrive buoni testi, qui sotto una selezione.
E che cavolo
mica potevo farmela mancare no?
Così l’ ho pregata un giorno
di venirmi in sogno
con la maschera più bella e il vestito buono,
sotto non so.
L’ ho pregata di tenermi nel sogno
e che non arrivasse il mattino.
Ma non è venuta
probabilmente le fessure erano ben chiuse
e non è riuscita a entrare sicura.
O sotto non c’ era niente.
E così “suonare mi tocca”
ancora per altre primavere.
*
Fottila la poesia
anzi mandala a farsi fottere,
come bestia inginocchiata.
Vai a pesca oggi
o al bosco, a cercare il muschio per i ciclamini
o semplicemente sta a guardare le nuvole
senza voler per forza dargli un nome.
Fottila,
che lei non ci pensa due volte a fottere te,
come una fiera accovacciata,
magari in un guizzo negli occhi di una trota
la trota appesa all’amo che lei ti fa sentire in gola
o nel cespuglio di margherite al bosco
attraverso il quale si mostra.
Nuda.
O proprio mentre guardi le nuvole,
in un nome che passa veloce.
Vedi?
Sei fottuto.
*
Era bello
giovane e forte
quello che a Milano dicono un drago
saltava dai balconi per un bel seno
e un sorriso d’ amor sincero.
E nessun rimpianto quando smise,
quando i capelli imbiancarono.
Poteva ancora far correre locomotive
sui binari della fantasia
farle fumare sotto una galleria
fermarle al semaforo e farle fischiare forte alla ripartenza.
Per il sorriso di un figlio,
mentre la figlia stava a guardare.
Lei stava sempre solo a guardare.
Nessuno sa perchè smise anche questo
se n’ è andato, dicono,
ma devi avere un posto da dove partire per poter andare
qui non c’ era più niente
nè albe nè tramonti
l’ ieri era un dolore dietro il quale sorridere oggi
domani uguale all’ oggi
due occhi sorridenti solo lo specchio di quello che nessuno vorrebbe essere.
Così scavalcò l’ ultimo balcone
inciampato, dicono,
inciampato in un dolore che posso solo minimamente credere d’ immaginare,
perché il mio “si è fermato a un passo”.
*
La ragazza era lì
era la notte dei fuochi,
sulla riva del lago
li guardava brillare.
La ragazza era lì
seduta accanto a un dolore
nel cono d’ ombra del salice
che le sussurrava parole.
Tutti quanti eran lì
illuminati dai fuochi
e ogni botto un desiderio
ogni botto una meraviglia.
La ragazza invece era lì in disparte
se ne stava all’ ombra della luna
il salice e i suoi rami
le nascondevano le mani.
E ogni botto un tremito di foglia
un affondo di dita
un fremito al seno.
Come una carpa al salto
che brilla le squame alla luna
seguendo rotte sconosciute
e riaffonda nell’ acqua dolce del lago.
L’ ultimo botto le fece tremare il cuore
ma nessuno se ne accorse
che la ragazza sparì
nell’ acqua dolce del suo lago
per un invisibile abbraccio tra il cielo e il lago.
*
Ciao bimbo mio
t’ ho lasciato tra il bianco di lenzuola pulite
tra stanze in penombra,
lune alle finestre,
e oltre le finestre verdi giardini assolati.
Ho creduto stessi bene lì, e ho proseguito solo
passando da zingare e altre solitudini,
altri giardini,
altre lune e fiumi e laghi,
con una musica dentro e una corazza lucente fuori
come un’ astronave per navigare nascosto in questo mondo.
Ho creduto stessi bene lì.
Ho sbagliato, bimbo mio,
lì abitava la paura
la paura per il malato con la tasca nuda
che veniva la notte
a farsi toccare.
Anche la luna poteva far paura con le sue ombre,
alla sua luce la Madonna,fuori dai vetri, ti mostrava la schiena.
C’ era anche la paura per chi sapeva, chi era lì per studiarti,
e permetteva,
e ti chiedeva..
non c’ era coperta che bastasse a nasconderti.
Ho creduto stessi bene lì.
Che non saresti mai cresciuto.
Sono tornato a cercarti per portarti via e non c’ eri,
solo case vuote
orti abbandonati
e scritte sui muri.
C’ era ancora la Madonna di spalle,
le ho girato attorno, so che ti ci nascondevi a volte, tra gli arbusti,
ma nemmeno lì eri.
Forse ti sei fatto invisibile
Forse non me ne sono accorto e sei venuto via con me,
di nascosto.
Forse per questo non siamo mai cresciuti io e te.
Se davvero è così, è stato bello arrivare fin qui,
passando insieme da zingare e altre solitudini,
altri giardini,
altre lune e fiumi e laghi,
con una musica dentro
e in compagnia della nostra zingara.
****
FRANCO BONVINI è Nato a Como,il 29 12 1952, già col suono del lago calmo nelle orecchie ancora in formazione.
Mi piace pensare che lì ero un desiderio brillante sulle onde e che mamma m’ ha creato cantando la vie en rose,nelle sue passeggiate, canzone che poi mi ha accompagnato sempre.
L’ infanzia è stata felice, e anche quando i miei si sono trasferiti nel milanese, per avvicinarsi al lavoro di babbo.
Ho trovato nuovi amici, e poi c’ è stato l’ incontro con la Musica, anche se per hobby e da autodidatta, che è sempre con me.
Solo un piccolo intoppo, sui tredici anni, di cui spero si legga tra le righe perchè anche quello è sempre con me.
Per il resto che dire? Il lavoro, subito dopo le medie, il tentativo di un disco, comprato da amici e parenti e finito lì. Il suonare in balere e sale da ballo il sabato e la domenica,
Poi, col metter su famiglia, ho smesso. Ma la musica torna a riprenderti e l’ ha fatto dopo quarant’ anni, così sono ancora su palchi e teatri con dita più lente ma anche con qualche soddisfazione maggiore. Anche la poesia è arrivata tardi accompagnata da una musa che me l’ ha presentata ma si è fatta subito amare e così cerco di ricambiare.
eccezionali disegni (trad. Adeodato Piazza Nicolai)
scoprire la verità
cercando la bellezza:
come minimo
è necessario un progetto,
forse basta un disegno,
l’itinerario
e poi
come ci si riconosce?
Siamo certi
di poterlo fare
senza un indizio
o una fotografia?
**
Exceptional Designs
to discover truth
rearching for beauty:
at the very least
a project is needed,
maybe a design is enough,
an itinerary
and then
how do we recognize ourselfes?
Are we sure
we ca do it
without a hint
or a photo?
© 2018 English translation by Adeodato Piazza Nicolai of the poem “eccezionali disegni”
by Flavio Almerighi. All Rights Reserved.
poetically correct
Grazie a Dio non frequento accademie, corsi di scrittura creativa, non pago per pubblicare libri, sto prendendo strade nuove e del tutto afferenti la mia volontà, non frequento conventicole e, se e come, quando posso cerco di dar voce a chi mi piace, nella più totale libertà e gratuità. In poesia non ho debiti con nessuno, se non con Giusi Verbaro e Mariella Bettarini che, oltre un ventennio fa, mi indicarono una via che ho seguito. Ho creato assieme a due ragazze in gamba un evento quasi unico in Italia per far fruire la poesia a chi, ringraziando la divinità, non scrive ma intende leggere e intende ascoltare. Chiunque voi siate, se volete farvi conoscere, entrate in un bar o in un parco, e iniziate a leggere i vostri pezzi, non mandate più scritti ad altri poeti. Non ne avete bisogno.
Voialtri invece che state uccidendo la poesia, facendone questione di marketing e marchette, dove gli “amici” sono più importanti della libertà, della libera cultura e del libero talento, fondanti in questo mondo, dovete sparire dalle vite di tutti. Il bello, biondo e con gli occhi azzurri esiste solo nei romanzi di Liala, o ha già aperto la partita iva. Quando l’ho avvicinato, non pensavo certo che fosse il cosidetto “mondo poetico” a macchiarsi di un tale delitto e ne sono scandalizzato. Ovviamente dovete sparire tutti dalle nostre vite, critico per critico, marionetta per marionetta, potente per potente: state creando una generazione che “crede” di saper scrivere, dopo averle inculcato deliri di onnipotenza e pensiero fragile, mode inodori e insapori, spacciandole per apprendistato di buona poesia, e dalle vostre madrasse ancora fate credere che sia letteratura. Intanto vi perpetuate, volete apparire grandi e indispensabili, in realtà state facendo terra bruciata per sembrare gli unici veri punti di riferimento in una landa che avete desolato. Andatevene tutti quanti a quel paese branco di paraculi opportunisti. Buona Domenica delle Salme a tutti gli altri. Io scendo qui e me ne vado per i fatti miei.
il limite
caduti dov’era luogo
e a chiamare succede
di scordarsi il nome,
eppure ogni agorà
anche la più ribelle
ne ha uno, e la targa
a imperitura memoria,
la stessa spartita
e poi smarrita
sapevano ad esempio
delle profondità marine,
il sole appeso all’oceano
dava l’effetto di dio,
piccoli sempre più
a ricordarsi giovani,
belli come richiami
di seni turgidi,
donne in ginocchio
vennero gli appuntamenti,
gli appartamenti,
le piogge davano del lei
a portieri di notte
fuori servizio,
il limite non ha altri
che il suo io,
niente più
niente meno
perdendo la vita
Tempo, pover’illuso,
appaltato a mitraglieri morti.
Cunicoli attraverso il monte sacro
sonde spine visitate
senza rendere atto, pover’ignoti,
del fortunatissimo accenno:
essere semplici visitatori.
L’asta degli ignoti è vinta da tempo
possono gioire gli sconfitti,
pensare alla cristianità nei loro costumi:
hanno porto l’altra guancia
e quella successiva, perdendo la vita.
Nome, cognome, figli,
futuro, nazionalità, pensiero.
*