La faccia è sempre quella

Aspettare l’azzardo
di una mano giusta
benedetta
dal risentimento.

Il destino dipende
dalla parola vento,
faticoso diventare grande
e mai stato bravo
con le domande ai golem,
se qualcuno è caduto
era mano nella mano.

Ho speso la vita
a costruire nemici decenti
di me
ho perduto i connotati,
ma la faccia
è sempre quella.

Una poesia di Dario Bertini

scrivo una poesia su una bellissima ragazza nuda,
così quando la leggerai alle prime luci
tu possa incominciare la giornata col sorriso
(puoi uscire per strada a cercarla,
salendo sul primo taxi)

se una ragazza leggerà questi versi
sarebbe bello diventassero amiche
e passassero ore a fare shopping
o a parlare al telefono;

mettiamo allora che cominci
a piovere, una leggera pioggia dei primi di settembre,
gli occhi del lettore
cercheranno rifugio dentro un bar
o semplicemente apriranno gli ombrelli,
osservando l’acqua che scivola accanto ai marciapiedi?

Ancora non lo so;
quello che so è che presto inizieranno
le raffiche di mitra di decine di critici
che insisteranno a dire che in realtà
la ragazza del primo verso è brutta
e la pioggia è solamente una perdita di tempo

allora tutti i versi fuggiranno via dal foglio
attraversando i campi e le città,
saliranno sul primo treno –
senza preoccuparsi del biglietto –
molto felici di essere diretti
in un posto chiamato

vaffanculo

Callaghan

Negli anni dove Clint Eastwood
era considerato fascista,
rimanevo fino alle otto di sera
albana, trebbiano, sangiovese,
a caricare casse sui containers.
Punta Marina non arrivava fin qua
ai tedeschi piacevano frutta e vino.
Il camionista se ne stava sul pezzo
a fumare e osservarci confabulando
con Amerigo, che era sempre seduto
fino alle sei di sera, non era pigro
né raccomandato, aveva un cancro.
Gli altri, che davano del fascista
a un attore di buoni polizieschi,
se ne stavano in panciolle al mare,
dopo ferragosto tornavano a Castello
per gli esami di riparazione.
C’era più giustizia
negli anni in cui Clint Eastwood
faceva Callaghan.
Avevo gratis un’abbronzatura
da ciclista, anzi mi pagavano
per farmela, ma alla fine
eravamo tutti uguali, senza speranza
e, calate le mutande,
lo stesso fondoschiena bianco.

Saper scrivere una poesia

Per saper scrivere una poesia occorrono qualcosa per scriverla e qualcosa su cui scriverla. Bisogna possedere una reattività negativa, voglia di fare altro, essere innamorato come il cane della luna. Scrivere una poesia non è soltanto scriverla, è riviverla, pensare a quando la leggerai nel plenum di un convegno di panettieri e alle vicissitudini che ne seguiranno. Meglio se sei una casalinga inquieta, o la moglie del segretario dell’Associazione.
Devi essere splendido e con le mani sporche fino ai gomiti per saper scrivere una poesia, altrimenti tanto vale rinchiuderti nel tinello ammaccato di una zona centrale a Milano. Devi avere rotto con l’universo intero, altrimenti non arriva niente. Devi essere un lebbroso con la pelle dura, curarti da solo le pubbliche relazioni, oppure non viene niente. Devi avere alle spalle i radar di ottime letture propedeutiche, una bionda e un tagliatore di teste: scrivere avvelena, e poi ci vuole lo psichiatra a farti smettere.
Se proprio hai già scritto una poesia non gridare al capolavoro solo perché qualcuno lo fa per te, se succede sei già diventato il chierichetto di qualcun altro. Devi avere viaggiato in lungo, in largo e dentro.
Evita accuratamente i buffet che apparecchiano dopo i reading con quei vinacci sconosciuti ma doc, la coca cola superstite del reading precedente e i pacchetti salati dolci della pasticceria dell’angolo.
Se ci vai, tuttavia puoi evitare, guarda bene la gente che c’è e fatti vedere, stringi mani e bacia entrambe le guance. In genere li trovi in localini angusti e appartati, difficili da trovare come i dischi di Federico Fiumani o la poesia stessa. I mariti se ne stanno in disparte, quelli in gita di piacere li riconosci subito. Guardano il culo alle ragazze, li preferiscono un po’ vissuti ma lontani dall’età matura, sacrificati da improbabili impalcature. Al brindisi non gridare aiuto, esci prima della fine e trovati un angolo per poter rifiatare in pace.
Se vuoi scrivere davvero una bella poesia, innamorati prima. Oppure non scriverla affatto, pensala nel dormiveglia e domani, bellissima, non la troverai più. E se proprio vuoi scrivere, compila una lista della spesa o un giallo scandinavo sotto pseudonimo, l’economia del paese e un editore ti saranno grati. Meglio svanire dalle vite altrui, fare giardinaggio, palestra, shopping o andare al cinema.

Non mi ascoltate

Non mi ascoltate,
chiunque vorrebbe godersi
una Penelope nascosta
lontana, nell’ultima tasca
in fondo come un santino,
sacra nevicata fuori stagione

Non mi ascoltate
di notte si sta male,
gli ammalati cambiano
perché i dottori dormono,
sfuggono le strade larghe
solo i gatti li vedono

Non mi ascoltate,
la parola è roba atea
non c’è buona novella
nelle bocche fresche di dentifricio,
il ladro vi entrerà in casa
solo se si mostrerà perbene

Non mi ascoltate,
fatelo unicamente quando
mi sentirete maledire
incenerire d’insulti e botte uno
che chiama “quell’opera d’arte”
la strage in stazione

Raglio di Natale

asinello

Caro Gesù ricordi?
Sono quello senza corna
che ti scaldò la culla, va beh
culla è una parola grossa
roba da polli in batteria,
e quando ti ho salvato il culo
ero sempre quello
che ti portò in Egitto
anni luce da quel bullo di Erode,
la domenica delle palme
ti ho dato un passaggio
per le vie di Gerusalemme
e tu nemmeno grazie.
Volevano farti re,
ti avevo avvertito
che era una trappola,
sarò un ciuco
mai un coglione.
Ho tirato la carretta della storia
ho sempre preso botte,
medicine lontano dai pasti,
i miei cugini muli
per quel poco che hanno dato
nel Quindici Diciotto
li hanno fatti tutti santi
ma noi no,
qualche volta sogno
di essere un cavallo
da sveglio sono sempre un raglio.
Ciao Gesù, buon compleanno
se ti va ricorda,
siamo sempre meno
e se rinasci non so
se potrò scaldarti ancora.

Il rito della luce

C’è un’immensa ferita
tra gli abiti smessi
alcuni appesi altri riposti,
nella razionalità liscia e rinnovata
(a me impossibile)
dentro il cassetto delle mutandine
o nella coscienza senza smagliature
di calze e collant,
tra i cambi di stagione
e le loro semilibertà.

Io sono stata qui,
sembra di leggere un graffito
che non c’è, ma si intuisce
oltre le ante il rito della luce,
buca la finestra opalescente
col suo freddo
nascosto dentro le ossa.

Tant’è rimanere in città,
cosa vuoi che ne sappiano
amministratori e cartolai
di questi abiti zoppicanti,
anche Bologna è sfitta
e non ricorda nemmeno
quale armadio era.

Trentaduesimo trasporto all’Est

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Bambina portata a scossoni
sul grembo vuoto di freddo,
non vedrà più notti
chi non ha occhi.

Cantano le spoglie nude,
senza scarpe a terra
dove comincia la strada verso casa
non risuonano impronte.

Un pupazzo fresco imbiancato,
occhi famelici sopra il naso,
bastasse una carota ariana
a sfamare chi è già partito!

I cani ciechi, cani da guardia
abbaiano, dicono tu sei straniera
vivrai dentro barili di alici,
salata, secca, in cenere.

A Gertrud Kolmar, Poeta (1894/1945)

favorita dalla luna

Questa mattina hai detto
sono tornate le mestruazioni,
c’è una punta d’orgoglio
a confermare sono donna
favorita dalla luna.

La marea alle spalle.
Ho ancora tanto da fare,
debbo correggere nubi
sfollarle in cerca
di nuove previsioni.

La mattina sono intrattabile
hai aggiunto uscendo,
ma giuro dopo il caffè passa.